Tutto l’orrore dell’anno

In questi giorni, ho letto da qualche parte che l’horror non è risorto neanche nel 2018. Mai affermazione fu più vera: l’horror non è risorto perché, molto semplicemente, non è mai morto e, come tutti gli anni, si presenta in forma smagliante, alla faccia di quelli a cui non piace mai nulla e stanno ancora a rimpiangere roba di cinquant’anni fa. Non perché a loro piaccia sul serio, ma perché nel momento esatto in cui qualcosa ha successo e raggiunge una fetta ampia di pubblico, si tramuta automaticamente in merda. Ciò che davvero piace a questa categoria di persone è mettersi di traverso all’entusiasmo altrui, cercando di spegnerlo con un continuo brontolio. Ecco, se mi è concesso fare un proposito buono per il 2019, è di smettere di ascoltarli, far finta che non esistano; tanto, sarà la storia del cinema a dimostrare quanto le loro opinioni valgano poco.
Fatta la doverosa premessa, il 2018 è stato un anno (sempre per la sottoscritta, credo sia superfluo sottolinearlo) di grandi amori e di cocenti delusioni, forse meno intenso per numero di titoli interessanti rispetto al 2017, quando piovevano da ogni angolo, ma con una discreta manciata di film da ricordare.
È anche l’anno in cui del Toro ha tirato fuori dal cilindro il film della mia vita e, pur non essendo un horror e quindi non trovando posto in questo post in particolare, ho il dovere di menzionarlo: per quanto mi riguarda, The Shape of Water è l’opera migliore dell’anno. Sì, tecnicamente appartiene al 2017, ma in Italia è uscito a febbraio e credo di averlo già visto una ventina di volte.
È successa anche una cosa abbastanza singolare, almeno per come sono fatta io: per la prima volta da che ho memoria, l’horror più bello dell’anno non è un film, ma ci arriveremo con calma.


Parlando di cocenti delusioni, mai come quest’anno film che, sulla carta, avrebbero dovuto finire di diritto nel novero degli indimenticabili si sono rivelati delle sciocchezzuole di poco conto nel migliore dei casi. Parlo di Apostle, in cui riponevo enormi speranze e che, al massimo, mi ha fatto addormentare tre o quattro volte nel corso della visione; di The Ritual, altro film molto strombazzato, credo soprattutto in quanto tratto da un grande romanzo, ma risolto in un adattamento, a mio parere, non all’altezza della fonte; di Summer of ’84, forse la ferita cinematografica peggiore lasciatami da questo 2018, perché ci credevo tantissimo; soprattutto, parlo di Mandyche si becca la palma di film più pretenzioso, arrogante, compiaciuto e inutile dell’anno, anche al di là dell’horror. E per fortuna che George P. Cosmatos è passato a miglior vita nel 2005, altrimenti a quel fighetto del figlio lo prendeva a ceffoni a due a due finché non diventavano dispari, così forse imparava qualcosa sul cinema. Purtroppo Mandy è piaciuto un po’ a tutti, quindi ci dovremo sorbire Cosmatos Junior caricato a pallettoni e pompato al massimo della sua presunzione per decenni.
E comunque l’interpretazione migliore di Nicholas Cage, quest’anno, la potete trovare comodamente in Mom and Daddove almeno si nota la presenza di un regista serio. Guarda caso, è passato inosservato, ma voi recuperatelo e poi fatemi sapere.

Sul versante incassi, quella roba così poco elegante e volgare da menzionare ma che tiene viva l’industria, troviamo sempre il nostro eroe Jason Blum in cima al mondo: ha sbancato i botteghini con Halloween e Insidious: The Last Keysi è difeso benissimo con The First Purge, ha piazzato un ottimo B movie con Upgradeprodotto una delle migliori serie tv dell’anno, ovvero Sharp Objectse credo ce lo ritroveremo anche questa volta agli Oscar, perché BlacKkKsman è roba sua. Sì, quello di Spike Lee è un film Blumhouse, branco di malfidati.
Anche la Warner Bros ci ha messo del suo: The Nun, com’era prevedibile, ha fatto il botto, portandosi a casa quasi 400 milioni di dollari in tutto il mondo, a testimonianza del fatto che il pubblico di horror non è mai sazio.
Ma non sono soltanto i film Blumhouse o quelli derivati dalla saga dei coniugi Warren ad avere un grande successo commerciale: i film indipendenti recuperano i costi, li superano e vanno comunque fortissimo, anche se rivolti a una fascia più selezionata di spettatori.
Insomma, l’horror sta bene e vi saluta tutti, compresi i rompicoglioni, perché alla fine l’horror vuole bene a tutti, persino a chi vive in funzione del suo periodico funerale.

E ora, dato che siete qui per questo, veniamo all’elenco, non classifica per carità, degli horror più amati dalla sottoscritta in questo 2018 agli sgoccioli, sperando di non incorrere in polemiche che non ne ho la forza, grazie.
Halloweenregia di David Gordon Green – Leviamoci subito questo dente: il nuovo Halloween mi è piaciuto a una prima visione in sala, al netto dei problemi pur evidenziati nel post a esso dedicato, e rivedendolo a casa, mi è piaciuto anche di più; i motivi sono legati essenzialmente ai personaggi di Michael e Laurie, perfetti e coerenti con le loro controparti del 1978. Credo sia un film in grado di crescere ogni volta che lo sia guarda e, se le cazzate tipo colpi di scena messi un po’ alla come capita e difficoltà di miscelare i toni tra loro non si possono cancellare, tutto il resto è talmente ben condotto da farle passare in secondo piano.

A Quiet Placeregia di John Krasinski – Si tratta di sicuro della sorpresa dell’anno, sia per quanto riguarda il mero dato del botteghino sia per la sua riuscita. E chi se lo aspettava da un attore e regista noto soprattutto per i suoi trascorsi nella commedia? Certo, l’esempio di Peele l’anno scorso era già di per sé un segnale, ma se Get Out possiede comunque un’anima satirica, A Quiet Place è un horror puro e semplice, con un gran world building invisibile alle spalle e delle sequenze dalla tensione insostenibile.

Hereditary, regia di Ari Aster – C’è davvero poco da dire: se non fosse che ho gusti deprecabili e discutibili, questo sarebbe l’horror dell’anno senza rivali e in effetti, da un punto di vista quanto più distaccato e oggettivo possibile, lo è, perché nessun film uscito nel 2018 può arrivargli vicino, e come messa in scena e come trovate narrative e come recitazione. Hereditary è semplicemente la perfezione applicata all’horror.

Ghostlandregia Pascal Laugier – Lo davano per spacciato in molti, persino io avevo smesso di crederci, nel povero Pascal, bistrattato da tutti dopo il capolavoro dei capolavori Martyrs. E invece, zitto zitto, se ne esce con questa follia che è un vero e proprio viaggio negli inferi e ha messo a dura prova le mie coronarie. Perdonami per aver pensato male di te, Pascal. Grazie di essere tornato.

Terrifierregia di Damien Leone – Qui ci inoltriamo in un territorio per soli appassionati: Terrifier è lo slasher più violento del 2018 (sì, sarebbe del 2016, ma è stato distribuito solo quest’anno), anzi, credo sia il più violento degli ultimi cinque o sei anni, un film che non si ferma di fronte a niente e ci consegna un’icona moderna del genere, Art il Clown che popola i miei incubi da mesi a questa parte.

What Keeps you Aliveregia di Colin Minihan – È un horror, non lo è? Non che mi interessi granché, però è una gran bella vicenda di paranoia e sentimenti traditi, con due attrici in gran spolvero e tanti piccoli dettagli stilistici da ricordare. Ecco, ho gusti deprecabili e discutibili, ma What Keeps you Alive mi è entrato nel cuore anche più di Hereditary.

Annientamentoregia di Alex Garland – Tratto da un romanzo infilmabile, lo stravolge completamente ma ne lascia intatte le premesse e, alla fine, anche il senso generale. Forse dovrebbe essere inserito nella categoria fantascienza, ma ha al suo interno la sequenza più spaventosa dell’anno, quella dell’orso urlante, e quindi sta bene dove sta.

Veronicaregia di Paco Plaza – Questo purtroppo non sono riuscita a recensirlo, ma l’ho inserito in qualche episodio delle pillole. Mentre Balaguerò, quest’anno, fallisce su tutta la linea, il suo collega Plaza riesce a confezionare un ottimo film di possessione demoniaca, ambientato negli anni ’90 ma senza alcuna tentazione nostalgica e davvero efficace da ogni punto di vista.

Downrange regia di Ryûhei Kitamura – Credo sia piaciuto solo a me, ma non me ne faccio un grande problema: Downrange è quello che io amo chiamare un horror senza complicazioni, diretto ed efficace, basato su implacabili unità di luogo, tempo e azione, e che non lascia spazio a niente altro se non a un bel po’ di sana macelleria, che ogni tanto non guasta. 

The Endlessregia di Justin Benson e Aaron Moorhead – Prendere Lovecrat, non quello facile, immediato e da ridurre a meme a base di tentacoli, ma quello vero, quello dell’orrore inspiegabile e indicibile, e metterlo in immagini. Fatto. I due registi di Spring si confermano una delle realtà più nobili dell’horror indipendente americano e che gli Antichi ce li conservino così per sempre.

Revengeregia di Coralie Fargeat – Questo me lo tengo per ultimo perché mi ha dato tante soddisfazioni e non mi stanco mai di rivederlo. In sala è anche meglio, perché Fargeat possiede un occhio portentoso e un rape & revenge messo in scena con così tanta eleganza è una rarità. Lo è ancora di più un rape & revenge diretto e scritto da una donna, ma non vorrei che un film così bello venisse derubricato a fenomeno da baraccone o a semplice curiosità, perché è molto più di questo.

Da menzionare, in ordine sparso, ci sono anche The Strangers: Prey at Night, Tragedy Girls, Lizzie, Pyewacket, Aterrados e, mi duole moltissimo ammetterlo, Unsane.

Lo so, siamo andati molto lunghi, ma è normale quando hai un intero anno alle spalle di cui discutere. Lasciatemi però ancora qualche riga, prima di andare a festeggiare e ubriacarvi, per eleggere il mio horror dell’anno, che non è un film ma (orrore!) una serie tv. Lo sapete quanto io consideri il mezzo televisivo inferiore a quello cinematografico e quanto detesti gli imbecilli convinti che il mezzo espressivo più rappresentativo della nostra epoca sia la serialità. Sapete tutte queste cose e non intendo rimangiarmele oggi, ma sapete anche quanto mi piaccia essere smentita in positivo e che sono anche capace di ammettere i miei errori.
Ecco, The Hauting of Hill House, scritto e diretto da Mike Flanagan (che io lo dico da anni che è il più grande regista horror dei nostri tempi e vengo puntualmente presa a pernacchie. Ora chiedete tutti scusa), è un’opera molto particolare e non ho intenzione di spiegarvi perché, non ho il tempo né lo spazio per dire tutto. Però, dopo averla vista a ottobre, non sono stata capace, per almeno un paio di mesi, di vedere o farmi coinvolgere minimamente da altro e, per una come me che è in grado di divorarsi anche sei film in un giorno, non è consueto.
Dire che alcune opere d’arte cambiano la nostra vita è banale e, spesso, anche pretestuoso, ma Flanagan, con la sua rivisitazione di Hill House, lo ha fatto e, da quando ho iniziato a vivere le vicende della famiglia Crain, qualcosa dentro di me, è cambiato per sempre.
E, se sono usciti tanti buoni film, per quanto mi riguarda il 2018 sarà sempre l’anno in cui il mio cuore è rimasto tra le mura di Hill House.
Detto ciò, buon anno a tutti. Ci sente dopodomani, per parlare un po’ dell’horror che ci aspetta nel 2019 e fare previsioni non richieste.

 

23 commenti

  1. Buon anno nuovo! Concordo Hill House va oltre il concetto di serie tv. Appartiene alle cose bellissime.

    1. E tu hai vinto la scommessa! 😀

  2. Buongiorno Lucia, è stato l’anno in cui ho letto il tuo bellissimo romanzo Nightbird,che mi ha colpito e commosso.. quasi del tutto d’accordo con te… Hereditary lo considero un capolavoro di scrittura e tensione,ma pure Hill House e Sharp Object sono due gioielli…sei incuriosita dal Suspiria prossimo venturo?..nel frattempo buon 2019!👍😊🙏

    1. Grazie ❤
      Per Suspiria, non vedo l'ora, che poi l'ora è domani, ma io non potrò andarlo a vedere perché purtroppo sono ancora impossibilitata a guidare.
      Spero di poterci andare il prima possibile…
      Tanti auguri di buon anno anche a te!

  3. Well, non puoi pretendere proprio nessuna polemica neh: Halloween, a Quiet place blabla bla bla blablabla bla bla.
    😉
    BlablaBla.

  4. Alberto · ·

    Qualcosa ho visto – sì Veronica, sì A quite place, molto sì Halloween, siissimo Revenge, ni (chiedo perdono!) Hill house, ma il miglior horror dell’anno è sempre questo blog, anche quando la vedo in altro modo. Auguri per uno splendido 2019.

    1. Ma grazie, che bel modo di riferirsi al blog 🙂
      Tanti, tanti auguri per un grandioso 2019 anche a te e ci risentiamo qui! ❤

  5. Un bellissimo riepilogo il tuo 😊. Hill House è stata importante anche per me, è Flanagan alla massima potenza.
    Auguriamoci un 2019 pieno di begli orrori 🎉💀

    1. Ed è il secondo anno consecutivo che Flanagan si becca il primo posto su questo blog. Come si fa a non volergli bene?
      E il 2019 sarà sicuramente un anno pieno di horror. Ci sono tanti di quei film da vedere!

  6. Complimenti, come sempre ti fai leggere tutta d’un fiato! Concordo pienamente sulla necessità di non badare alla distruttività dei nostalgici, se così si può chiamarli. Hai citato molti film che ho apprezzato, come Terrifier e Ghostland (con quest’ultimo è stato amore), molti dei quali, a dire la verità, scoperti grazie a te. Buon anno nuovo, continua così!

    1. Grazie! Sono contentissima di averti fatto scoprire dei buoni horror nel corso dell’anno. Spero di fare lo stesso nel 2019.
      Buon anno a te!

  7. Giuseppe · ·

    1) Buonissimo Anno a te! 🙂 ❤
    2) Che NESSUNO si azzardi a toccare Flanagan (non solo al cinema, ovvio: ce ne fossero di più, anche in campo televisivo, a garantirci sempre una qualità pari a quella della sua serie) 😉
    3) Mandy: così, a istinto, me ne son tenuto ben lontano… niente di quello che leggevo e sentivo a proposito è mai riuscito a spingermi a vederlo. Ecco, devo dire che un po' mi dispiace sapere di un tipo in gamba come Elijah Wood coinvolto qui come produttore…

    1. Tanti, tanti auguri, Giuseppe!
      Per un altro anno pieno di film 😉

  8. Massimiliano · ·

    e anche quest’anno avrò un bel po’ di film da recuperare grazie alla tua lista!
    Mi permetto di consigliarti, se non l’hai ancora visto, il film di Netflix “La donna più assassinata del mondo”… credo che ti possa piacere (non è assolutamente un capolavoro e ho letto stroncature, ma da fan dell’horror mi è piaciuto un bel po’).
    Grazie ancora per il tuo blog e buon anno di cinema horror a tutti noi!

    1. Sì, l’ho visto e devo ammettere che l’ho trovato ben riuscito e non capisco le stroncature ricevute. Non è affatto male e c’è bisogno di più film ambientati al Grand Guingnol!

  9. è un pò che non ti do contro (Chiedo scusa), quindi volevo dirti che ho visto Mandy e l’ho trovato bellissimo. Secondo me la via del futuro, o almeno una delle vie, è questa. Non più la storia, il racconto, non più il contenuto, bensì lavorare sul contenitore. Ma come sempre succede – profetizzo – la critica non se ne accorgerà, continuerà a lamentarsi perchè non riceve quelle trame ricchissime e piene di svolte e sorprese e “realismo” (anche nel fantastico) e complicazioni e colpi di scena che si vedevano nei film di una volta, e non si accorgerà che nel frattempo l’arte ha fatto un altro passo avanti.
    Ti saluto!

    1. Però la critica ha osannato Mandy, quindi non credo sia questo il caso di miopia.
      Per quanto mi riguarda, io ho un’impostazione molto classica: il cinema è racconto e poi tutto il resto.
      Però in Mandy non ho sentito la mancanza di un racconto, anche perché il racconto c’è, ed è anche molto lineare e chiaro. Ho sentito la mancanza di tutto il resto, ovvero di un film. Ma sono in minoranza, non ho neanche fatto un post dedicato, e neanche mi piace parlare di film che non mi sono piaciuti 🙂

      1. Invece io l’ho trovato molto interessante, e in questo senso molto simile a Climax. Anche lì succede l’opposto, la storia diventa lo sfondo e lo sfondo la storia. Invece di raccontare una trama complessa si usa la trama base per mettere in scena immagini, e questo lo trovo molto significativo. Trovo significativo anche il vuoto, l’approccio solo visivo, le cose buttate là senza scopo, con funzioni puramente decorative, come i titoli di testa ripetuti e i font “spettacolari” È pop, è il vuoto, e va bene così. Del resto, gli artisti di adesso non sono riflesso di un mondo che li bombarda da sempre e in ogni momento di stimoli quasi tutti visivi e puramente decorativi? Mi sembra logico che questo finisca per condizionare qualche genere di linguaggio, e temo che questo approccio – se esiste, non ne sono ancora sicuro – venga frainteso e considerato puro vuoto, mentre è nel vuoto che trova il suo senso.
        Molto interessante

        1. Per quanto mi riguarda, dipende sempre dal film: credo (ma, come dici tu, sono impressioni) che Climax sia, a suo modo, anche una satira del concetto di vuoto al cinema, in narrativa e nell’arte in generale, mentre Mandy sia “vuoto” e basta.
          Però ricordiamo anche che la “fine del linguaggio” in quanto tale è stata teorizzata non una, ma un miliardo di volte nel corso del XX secolo.
          E comunque lui si è ostinato a non morire.

          1. eh avoglia…. saranno 80 anni che si parla di eliminare il linguaggio, ormai il discorso è vecchio, e se la cosa viene fatta rimane appannaggio di “avanguardie” o cmq autori “elitari”, non di cassetta, non famosi a prescindere dal valore.
            Riguardo me, la questione è diversa, nel senso che fino a poco tempo fa ti avrei dato ragione al 100%, mentre adesso mi sto chiedendo se quello a cui stiamo assistendo – e che bolliamo come “film vuoto e/o pretenzioso”, non è in realtà l’inizio di un nuovo linguaggio che forse può essere povero di contenuti, ma che è un vero e proprio linguaggio, come gli altri.
            Sai, un pò come le nostre nonne che quando uscì il rock dissero che era solo rumore fatto da capelloni buoni a nulla che cantavano cazzate, mentre le uniche canzoni degne di quel nome erano quelle melodie ricche di sentimento cantate da Modugno, o Claudio Villa o Nilla Pizzi, etc etc etc…
            .
            Il “problema” del contenuto credo potrebbe nascere anche dal fatto che gli autori moderni – spesso molto più giovani di noi che li critichiamo – sono cresciuti con influenze e in realtà del tutto diverse dalle nostre, e bombardati da millemila stimoli visivi. Vogliamo parlare dei meme? Messaggi istantanei e vuoti? Di storie che si devono consumare nei 2 minuti di un video, o in un minuto solo?
            .
            Ecco, secondo me tutto questo potrebbe iniziare a prendere forma. Non come avanguardia, non come elite, ma solo come puro linguaggio popolare, e il “rischio” è che lo faccia mentre la critica non se ne accorge, perchè è troppo impegnata a cercare nei film solo le cose che conosce.
            .
            non entro in merito riguardo ai contenuti: è ovvio che in un regista “visivo”, che ragiona per memi, non ci sia quella profondità di pensiero e temi che troviamo in un Kubrik. Ma se quello che a noi sempre vuoto pneumatico sia invece solo un nuovo modo di raccontare quella stessa storia, dando valore a altri elementi (solo visivi? solo spettacolari?) rispetto ai vecchi film?
            .
            Come ho già detto, tutto questo discorso mi pare molto interessante, anche se non ho la minima idea se quello che sto dicendo abbia senso.
            Però in un certo qual modo mi sembra lo abbia.
            Saluti!

          2. Sì, il discorso è molto interessante, ma quello che voglio dire io è: siamo sicuri che sia applicabile a Mandy?
            Perché a me non è sembrato nulla di nuovo; Refn fa queste cose, e le fa meglio, quando non eccede, da anni. Allora preferisco un film come The Neon Demon, che almeno sa perfettamente di star rappresentando il vuoto e di questo vuoto si compiace. E Refn è un autore mainstream, è il più mainstream degli autori contemporanei, nel senso che lo conoscono tutti, Drive lo hanno visto tutti. E anche quello, discende da una tradizione di “style over substance” che fa capo ai polar francesi e a Walter Hill.
            Se poi vogliamo parlare di frammentazione isterica, allora possiamo tirare in ballo Oliver Stone o di fine del racconto in quanto tale, andiamo su Inland Empire. E sono tutti esempi non di nicchia, parliamo di autori importanti, conosciuti anche alle masse, anche più di Cosmatos.
            Non è il discorso generale, è proprio usare Mandy come termine di paragone che non mi trova d’accordo.

          3. Ecco, forse la differenza è questa: tu citi a esempio film che voglio rappresentare il vuoto con un tipo di linguaggio che lo “imiti” e metta in evidenza le mancanze, gli errori, le follie di questo vuoto.
            Film come Mandy, e come quelli che intendo io, non vogliono invece rappresentare il vuoto… perchè sono essi stessi il vuoto. Aderiscono senza giudizi “morali”, perchè per loro il vuoto… è il pieno. La modalità espressiva e il senso ultimo.
            E noi, che guardiamo da fuori, vediamo invece quel vuoto consapevole come un vuoto colpevole, cerchiamo la denuncia e non la troviamo, cerchiamo i contenuti che ci aspettiamo di trovare e non ci sono, cerchiamo un senso superiore o una condanna e non c’è, cerchiamo un significato dietro a certe scelte ma questo manca, perchè il significato della scelta è la scelta stessa.
            Da qui, forse , l’incomprensione?
            .
            Ti dirò anche che a questo punto posso anche dar loro ragione. Piuttosto di un regista che mi racconti sempre allo stesso modo la stessa identica storia, allora preferisco qualcuno che non mi racconti nulla. E so che questa mia può sembrare una fesseria, e forse in parte lo è. Eppure io Mandy me lo sono goduto. L’ennesimo film con lo zombi, rispettoso del genere, con la critica sociale e tutto il resto… mi fa pensare “Sì, ok, e quindi?”
            .
            Ah, oggi ho provato – conscio del rischio -a guardare il remake di Conan. Madonna, non ho resistito 3 minuti. Non si può dire che non sia un film fatto secondo “le regole”…. ma quanto ORRIBILE è?
            Saluti!

          4. Riguardo Mandy: siamo sicuri che il discorso sia applicabile? Boh, secondo me sì. Io non ci ho visto dentro un vuoto che non fosse cosciente di esserlo, o quantomeno convinto di essere “pieno”. E ho tratto divertimento da quel vuoto.
            Mi vuoi dire che il film non ha valore? Non posso darti torto. Ma proprio questo mi ha soddisfatto.