Annientamento

 Regia – Alex Garland (2018)

Non si può parlare di Annientamento prescindendo dalla sua storia distributiva, e non per rimarcare la solita dicotomia tra le esigenze artistiche di un regista e quelle commerciali del capo di una grande casa di produzione: la questione è annosa, prendere una parte in maniera netta non è mai del tutto corretto, perché, per quanto banale possa sembrare, capita che a volte abbiano ragione i produttori e non sempre gli “artisti”. Qui il problema è molto più complesso di quanto sembri e si intreccia con un altro argomento, molto dibattuto di questi tempi, ovvero quello relativo al rapporto tra distribuzione in sala e piattaforme di streaming, in questo caso Netflix. E non solo: la vicenda di Annientamento ci dice anche una serie di cose poco gradevoli su quello che gli studios pensano del pubblico. In pratica ci hanno preso per una massa di imbecilli che non sono in grado di capire un film dalla trama poco meno che lineare. Ma la colpa non è degli studios, signori, la colpa è vostra, sappiatelo.

Cercando di essere il più stringati possibile, le cose sono andate così: Garland termina il suo film, avendolo scritto, girato e montato come un’opera da visionarsi al cinema (ci torneremo) e il produttore David Ellison, che è uno dei più biechi e squallidi ragionieri hollywoodiani (a differenza della sorella Megan, grandissima produttrice e persona seria), organizza alcune proiezioni test, i cui risultati non lo soddisfano; chiede allora a Garland di apportare tutta una serie di tagli e riscritture per rendere il film “meno criptico e intellettuale”. Il regista, spalleggiato dall’altro produttore, nonché detentore del final cut, Scott Rudin (altro ottimo elemento), rifiuta di apportare i cambiamenti richiesti e va a finire che, negli Stati Uniti, Annientamento esce in sala con distribuzione limitata, mentre nel resto del mondo va dritto su Netflix e non se ne parli mai più. Tutto ciò ha anche messo una bella pietra tombale a qualsiasi velleità di trasporre l’intera trilogia di Jefff VanderMeer. O magari sarà anche fatto, ma questa volta Ellison penserà bene di assumere un regista più accomodante.

Al di là di tutte le considerazioni che si possono fare di fronte a una storia del genere, vorrei portare la vostra attenzione su due cose in particolare:
1) I ragionieri (cit. Hell) alla fine la spuntano sempre, perché qui non si tratta più di controversie tra regista e produttore, ma tra gente di cinema e gente col pallottoliere, che ha anche un’idea disgustosa di noi che i film li andiamo a vedere un’idea partorita tuttavia dai nostri gusti e dall’andamento del mercato cinematografico, che ha ormai visto la vittoria schiacciante del modello Marvel, gestito (che ve lo dico a fare) da un ragioniere, che di cinema non sa un cazzo e neppure gli interessa.
2) Dato che chi va in sala è un deficiente (non lo dico io, lo dice Ellison), un film che ha tutte le caratteristiche per essere goduto su grande schermo e che perde parecchi punti se visto su quello casalingo, ce lo dobbiamo sorbire su Netflix. Ora, questo può essere un pericoloso precedente per cui ogni opera con un briciolo di ambizione o semplicemente con alcune complessità narrative, sarà destinata a vedere la sala di sfuggita e a precipitare subito sulle varie piattaforme streaming. La conseguenza ovvia non potrà che essere un impoverimento del linguaggio: che cosa mi sbatto a fare nel dare un’identità cinematografica al mio film, se questo finirà inevitabilmente in un contesto di fruizione da schermo televisivo quando va bene e da smartphone quando va male?

Ma poi, al di là di tutto, è davvero tanto difficile Annientamento?
No, ovvio che no, ma approfondiamo un minimo: a vedere i trailer del film, Annientamento sembrava la solita storia di donne cazzute e armate contro i mostri. Chi ha letto il romanzo omonimo sapeva perfettamente che non poteva essere così, e anche chi conosce Garland e il suo modo di narrare. Tuttavia, non è che si possa chiedere al pubblico generico (che è composto da deficienti, ricordiamolo sempre) di essere preparato su tutto; il pubblico generico guarda un trailer, riconosce delle facce, si fa delle aspettative e guarda il film, trovandosi di fronte a un trip di due ore, dove, certo, i mostri ci sono, e anche cinque protagoniste femminili che girano armate, ma questi elementi non costituiscono affatto il nucleo centrale della storia.
Garland ha di molto semplificato, se vogliamo dirla tutta, il romanzo da cui è tratto Annientamento. Non solo lo ha semplificato, ma ha apportato delle modifiche sostanziali e strutturali, per cui si tratta di due opere diverse nel profondo, sia per l’impostazione che hanno sia per le conclusioni a cui arrivano. In parole povere, di Annientamento romanzo rimane solo lo spunto iniziale: una spedizione formata da cinque (nel libro sono quattro) scienziate si avventura in un’anomalia chiamata the shimmer, una zona sorta spontaneamente e di cui non si sa nulla, tranne che le precedenti spedizioni, tutte militari, non sono più tornate indietro. The shimmer è anche in espansione e pare che al suo interno non funzioni alcun congegno tecnologico, si perda l’orientamento, si rischi la sanità mentale, si assista a delle strane mutazioni e comunque si finisca per morire di una morte orribile.

Dal momento in cui le cinque scienziate fanno il loro ingresso nell’anomalia (che in italiano hanno chiamato Area X, estendendo il nome della struttura preposta alla sorveglianza della zona alla zona tutta),  romanzo e film prendono due direzioni del tutto divergenti e non si incontrano più. Evitando a ogni costo la tentazione dello spoiler (Annientamento deve essere un’esperienza individuale e meno ne sapete, meglio è), posso dire che il mistero dell’Area X nel romanzo si dipana a partire da un concetto che, secondo me, è puro genio visionario, ma non ha niente, proprio niente, di cinematografico. Anzi, mentre leggevo il libro, mi sono chiesta più volte come fosse saltato in mente a qualcuno di trarne un film, un’impresa quasi disperata. Eppure, non esistono romanzi infilmabili, esistono solo cattivi registi, di solito quelli che non hanno il coraggio di tradire la fonte di riferimento.
E Garland tradisce, mamma mia se tradisce. È obbligato a farlo, deve inventarsi qualcosa e allora attua una vera e propria trasformazione di un testo da viaggio tutto intellettuale e cerebrale, a delirio allucinatorio tutto visivo.

Annientamento è un qualcosa di magnifico da vedere, un festino per lo sguardo, la creazione di un mondo alieno che si è venuto a incastrare nel nostro e che dal nostro ha preso in prestito dei pezzi, scomponendoli e ricomponendoli a suo piacimento. Ha l’andamento di un incubo al rallentatore, ti toglie tutti i punti di riferimento uno dopo l’altro e ti trascina a forza in un universo dove tutte le regole su cui siamo soliti basare la nostra esistenza non hanno più alcun valore. È fantascienza filosofica a livelli altissimi e sì, richiede uno sforzo di attenzione superiore rispetto a quello che di solito si dedica a una zuffa tra supereroi, ma ne vale la pena, perché non si può sempre andare alla ricerca della cosa più semplice da vedere, quella che non ti lascia niente, che ti intrattiene (male) per un paio d’ore e poi l’hai già dimenticata. Annientamento ti si insinua sotto la pelle e, se solo si ha la pazienza di non vedere un film per il prossimo mostro gigante o per la prossima esplosione, quel minimo sforzo richiesto viene ripagato da uno spettacolo magnifico e maestoso.

Garland sceneggiatore compie poi un lavoro gigantesco sui personaggi (aiutato, in questo, da cinque ottime attrici), dando a ognuna delle cinque scienziate una propria personalità, un vita precedente (anche se appena accennata) l’ingresso nell’anomalia cosmica e anche una sfera emotiva, tutte cose assenti nel romanzo, dove le protagoniste non hanno neanche un nome e l’unica a essere un minimo approfondita è la biologa, l’io narrante. Anche da questo punto di vista Garland prende le distanze da VanderMeer che aveva preferito, per tutta una serie di ragioni perfettamente comprensibili, mantenere un totale distacco dai suoi personaggi e non dare spazio ad alcuna affezione nei loro confronti da parte del lettore.
Per tutti gli amanti dell’horror poi, ci sono un paio di sequenze da brividi e anche ad alto tasso di violenza e raccapriccio e un sottofondo (neanche troppo sotto, a dirla tutta) di stampo lovecraftiano tale da ricordare Il Colore Venuto dallo Spazio.
Più di questo non oso dirvi, perché davvero, qualsiasi dettaglio in più vi rovinerebbe tutta l’esperienza. E di questo si tratta, di un’esperienza cinematografica che ci è stata impunemente sottratta. Dovremo accontentarci di Netflix, sperando che Garland torni il prima possibile a lavorare per il grande schermo, questa volta senza che i ragionieri si intromettano nella sua visione.

25 commenti

  1. Il film lo vedrò a giorni, anche se avrei preferito vedermelo al cinema sopratutto dopo il primo spettacolare trailer, ma vabbeh. ad ogni moto cito questa parte:
    “la vicenda di Annientamento ci dice anche una serie di cose poco gradevoli su quello che gli studios pensano del pubblico. In pratica ci hanno preso per una massa di imbecilli che non sono in grado di capire un film dalla trama poco meno che lineare”.
    Il pubblico ormai non sa nemmeno distinguere la differenza artistica che passa da una produzione televisiva a una cinematografica e la serialità dei prodotti Marvel, ma basti pensare adesso a quelli legati al mondo di Harry Potter, o allo sfumato (grazie a Dio) Dark World, non fanno che annullare le differenze. Capiamoci c’è gente che quando va a vedere un film di supereroi è più interessato al cliffanger dopo i titoli di coda al film che ha visto, quindi non c’è da meravigliarsi. Prova di questo è “La Forma dell’acqua” dove tutti vanno a vederlo ma nessuno capisce come abbia potuto vincere tanti premi, questa è la conferma che la gente non sa più guardare.

    1. C’è gente che va a vedere un film di supereroi e ancora non sa che c’è una scena (anzi, spesso ce ne sono un paio) dopo i titoli di coda 😀
      La soglia di attenzione è sempre più bassa e lo sguardo si è perso completamente.

  2. Sì sì, film meraviglioso, che rivedrò. Non ho letti il libro, che leggerò. Avrei scritto una recensione del tenore della tua. Baci.

    1. Io l’ho già visto due volte. Il libro è molto diverso, ma ugualmente affascinante!

  3. Solita recensione perfetta, e finalmente sei anche la prima persona che dice che il film non c’entra niente con la Trilogia. Il che secondo me è un bene, perché non c’è il rischio che l’uno rovini l’altro. Film molto bello (da guardare almeno sullo schermo più grande a disposizione. Su tablet arresto immediato, su telefonino fucilazione), ma romanzi ancora meglio secondo me.
    E mentre scrivo leggo di lato che che sei a quasi un milione di visite zombesche. Qua bisogna preparare i festeggiamenti.

    1. Grazie 🙂
      Io non capisco come si faccia a guardare i film su tablet o smartphone. Mi fa male il cuore, se ci penso.
      Della trilogia ho letto solo il primo volume, anche se li ho acquistati tutti e tre.
      Ora finisco una cosa che sto leggendo e attacco il secondo.
      Appena arriviamo al milione, fuochi d’artificio 😀

  4. Daniele Segalina · ·

    Concordo su tutta la linea e vorrei dire a certi ragioneri che il pubblico (pure quello che gradisce i film con gli eroi in pigiama) non è composto solo da pecoroni, ma anche (magari in parte) da persone disposte a spendere soldi al cinema per vedere qualcosa di più. “Arrival” non vi dice niente?

    1. Ma io sono la prima a gradirli, chiariamoci: li vado a vedere, non tutti, ma alcuni sì e mi diverto molto. Solo che sembra che i produttori si siano tarati sul più cretino tra i fan dei cinecomics, quello che se non c’è l’azione il film fa schifo, se non ci sono i mostri mi addormento, se non ci sono le esplosioni sei solo un intellettuale di merda.
      Ecco, io questa gente la metterei tutta in galera 😀

      1. Giuseppe · ·

        Così facendo, quei produttori hanno sdoganato la figura del fan ultra-cretino a un punto tale che il suddetto poi si è montato la testa (poca), credendo di essere lo spettatore di riferimento per eccellenza e scambiando così la propria ottusa ignoranza per schiettezza/sincerità/mancanza di peli sulla lingua: qualsiasi film al di fuori del suo limitato raggio d’azione diventa, come sappiamo, “una cagata pazzesca, lento, penoso, non succede niente, ecc.ecc.” e non è mai lui a non averci capito un cazzo, chiaro, sei sempre e solo tu che te la tiri da intellettuale di merda (appunto). L’esistenza di un pubblico che pur divertendosi con action, mostri e esplosioni sappia allo stesso tempo apprezzare -al cinema, se è ancora possibile- opere di livello come Annientamento proprio non viene considerata dalle scarsamente illuminate menti dei ragionieri… 😦

        1. Perché si sono uniformati verso il basso: se scegli di accontentare l’ultimo degli idioti e lo prendi come modello universale, allora produrrai solo roba di infimo livello e, quando ti troverai per le mani qualcosa di differente, non saprai cosa farne…

  5. Più volte parafrasato e (aha!) semplificato, H.L. Menken, nel 1926, scrisse:
    “No one in this world, so far as I know … has ever lost money by underestimating the intelligence of the great masses of the plain people.”
    Un bell’esempio di profezia che si auto-avvera.
    Abbiamo nutrito il pubblico di omogeneizzati, dandogli idee semplici predigerite, e ora non solo il pubblico è composto di idioti, ma al pubblico piace, dati alla mano, essere considerato idiota.
    Al punto che, se si prova a sostenere che se al pubblico diamo intrattenimento intelligente il pubblico ce ne chiederà di più, ci dicono che siamo arroganti intellettuali, che abbiamo intenti “didattici” e che, a seconda dell’orientamento dell’interlocutore, siamo fascisti o comunisti o entrambe le cose assieme.
    Il fatto che ci sia Netflix è una magra consolazione.

    1. Siamo arrivati al punto che la parola “intellettuale” è diventata un insulto. Insomma, siamo tornati ai bei tempi di Goebbles

  6. Quindi ieri sera stavamo guardando lo stesso film? 🙂

    1. Eh sì! E anche un gran bel film! ❤

    2. Anzi, direi che per il prossimo ci sincronizziamo!

  7. Penso lo guarderò stasera, se riesco a staccarmi dalla play (in realtà no, visto che anche Netflix lo guardo lì, ahah).

    1. Secondo me, ti annoierai un po’, perché il ritmo del film è volutamente molto lento. 😀

      1. Come avevi previsto, non mi ha colpito particolarmente, ma forse perché non è proprio il mio genere…

        1. Eh, io ti avevo avvisato 😀

  8. Guardato Annientamento. Letto le critiche del pubblico, che più o meno concordano su due fatti: “il film è palloso, la storia non si capisce per niente, il finale è una merda incomprensibile.”
    Francamente, mi viene da piangere. Il vero annientato in questo caso sono io.
    Su Google, se si cerca il titolo del film, tra i primi suggerimenti ci sono i siti in cui “spiegano” il finale, riassumono tipo bignami l’intera pellicola in modo da “spiegarla” agli spettatori.
    E’ la cosa più triste che ho mai visto in vita mia.
    .
    Il film non è affatto lento. O meglio, forse un pochino lo è, ma come scelta di stile, e dunque non si può definire tale. Ha un suo ritmo, ergo va benissimo così, e anzi è una boccata d’aria fresca rispetto ai solito kolossal americani fracassoni.
    .
    La storia non è affatto complicata, e il finale non è affatto merdoso o incomprensibile.
    .
    Che qualcuno possa definire incomprensibile e orribile un film del genere per me è la più grande delle delusioni. Fa regredire il pubblico al ruolo di neanderthaliani.
    Se uno spettatore non è in grado di capire un film semplice e tranquillo come questo, per me il mondo dell’arte è praticamente finito.
    .

    1. Io me lo aspettavo, perché sono sette anni che la gente arriva qui cercando spiegazioni di film tutt’altro che incomprensibili. Le chiavi di ricerca del blog fanno paura.
      L’operazione di rincoglionimento globale è compiuta.

      1. Più che altro credo si sia instaurata la dittatura della superficialità e dell’assenza di attenzione. Tutto deve essere rapido, immediato, semplice e diretto. Sballottati tra miriadi di spettacoli, giochi, film, alternative, i fruitori non hanno più la pazienza o la voglia di impegnarsi su qualcosa, sanno che comunque possono “mandare avanti” o passare ad altro, possono guardare un film mentre chattano con il cellulare nei momenti di pausa, e leggersi un riassunto di un libro che hanno iniziato ma non hanno voglia di continuare. Volenti o nolenti, tutti un pò ci siamo dentro. La differenza credo la faccia, come sempre, la singola persona. Se vieni dalle generazioni precedenti, hai comunque un bagaglio culturale che ti viene in aiuto. Se sei giovane sei in balìa di te stesso, vuoto, indifferente a tutto.

  9. Alberto · ·

    Mi è piaciuto immensamente.

  10. Che bello leggere una difesa appassionata del cinema in sala. Dopo il magnifico Ex Machina ero ansioso di vedere il nuovo film di Garland, e sono davvero andato in bestia quando ho realizzato che il trailer che avevo visto al cinema era una presa per il culo di noi spettatori da sala. Visto sul piccolo schermo, perché poi ci si tura il naso e lo si guarda lo stesso, francamente rende molto poco, e resta il dubbio che al cinema avrebbe fatto tutt’altro effetto. Temo che al prossimo film di Scorsese toccherà la stessa sorte, con l’aggravante che Netflix caccia anche i soldi, per cui avrà più o meno il controllo totale del progetto. Ah ma stavolta protesto, non lo guardo proprio! Ciao

    1. Però, se un film è girato proprio per Netflix, lo si fa in maniera tale da farlo rendere meglio su piccolo schermo. Quando è Netflix a cacciare i soldi, agli autori viene sempre lasciata totale libertà creativa. Questo è uno dei motivi per cui molti registi preferiscono emigrare su piattaforme come Netflix.