The Perfection

Regia – Richard Shepard (2019)

Mi capita più o meno ogni anno di riconoscere la grandezza di un determinato film, ma di sceglierne un altro come horror del mio cuore. È successo con The FInal Girls, Il Gioco di Gerald e What Keeps You Alive e, in questo 2019 giustamente dominato da Us, è accaduto con The Perfection, disponibile su Netflix a partire da venerdì scorso, ma non una vera e propria produzione Netflix, in quanto il colosso dello streaming si limita, in questo caso, a distribuire un film che aveva già fatto parlare di sé nel corso del consueto giro dei festival, tappa obbligatoria di ogni horror indipendente con l’obiettivo di fare un po’ di rumore.
E di rumore, The Perfection ne ha fatto parecchio, con la critica specializzata in piena botta di entusiasmo e, quelli che erano riusciti a vederlo ai festival, accorsi sui social a consigliarlo.
A volte tendiamo a non renderci conto, persi come siamo nella diatriba sala contro streaming, della fortuna che abbiamo con Netflix: poter vedere in maniera legale un film come The Perfection vale il prezzo dell’abbonamento mensile, e ripaga di tutti quei lungometraggi mediocri che la piattaforma sputa fuori ogni mese. In paesi periferici come il nostro, dove ancora è viva la consuetudine di far uscire i film tagliati, Netflix è una salvezza, qualunque cosa ne pensino i suoi più accesi detrattori.

Mi trovo in seria difficoltà a parlare di The Perfection, perché è un film difficilissimo da analizzare senza farsi scappare dettagli importanti che ne rovinerebbero, in parte, la visione. Non è solo un problema si spoiler: The Perfection cambia pelle tante di quelle volte nel corso dei suoi scarsi 90 minuti di durata, da rendere impossibile persino accennare alla sua struttura, al montaggio, ai meccanismi narrativi, senza far trapelare qualcosa di troppo. L’unico modo di affrontare The Perfection è sedersi a guardarlo senza aver letto nulla in precedenza, senza aver visto neppure un trailer, conoscendone a malapena la premessa.

Che è, all’apparenza, molto semplice: Charlotte (Allison Williams) , bambina prodigio del violoncello, rinuncia alla carriera per prendersi cura della madre malata. Dopo la morte della donna, Charlotte contatta i suoi vecchi insegnanti, proprietari di una prestigiosissima ed esclusiva scuola di musica, e li raggiunge a Shanghai, dove conosce Lizzie (Logan Browning), che ha preso il suo posto come astro nascente del violoncello.
Ora, io lo so già che, dopo aver letto queste tre righe di trama, vi siete fatti delle aspettative, avete spinto la vostra mente in una certa direzione, ben definita. Lo so perché l’ho fatto anche io, perché dopo i primi venti minuti di The Perfection, pensavo di aver capito tutto, di aver anticipato dove il regista voleva andare a parare, sentendomi anche molto sveglia.
E invece.

The Perfection parte infatti come un classico thriller a base di ambizione a aspettative tradite, con due donne, abituate entrambe a eccellere nello stesso campo, che sembrano destinate a essere rivali, a combattere una contro l’altra. La tensione tra le due protagoniste è altissima e, sulle prime, non sai mai se finiranno per baciarsi o spararsi in faccia, o entrambe le cose. La relazione tra loro potrebbe prendere circa un centinaio di strade e deviazioni diverse, ed è proprio questa componente che ti tiene inchiodato al film. Almeno fino alla prima brusca sterzata di The Perfection in un altro territorio, sempre più strano, sempre più straniante, sempre più sopra le righe. È come se Shepard (cui mai avrei dato una lira, vedendo il suo curriculum) stesse consapevolmente prendendosi gioco del suo pubblico e, proprio quando si è certi di poter dare a The Perfection una qualche definizione, inserirlo in una categoria qualsiasi, ecco che il regista ti fa la linguaccia e se ne va da un’altra parte.
Perché poi il film diventa un revenge movie, passa a salutare il body horror, strizza l’occhio al cinema orientale, si sporca le mani senza vergognarsi un solo minuto con il gore, anche abbastanza estremo, e non ha mai, ma proprio mai, paura di superare i limiti, scadere nel triviale, nel grossolano, anche forzando la mano alla vostra sospensione dell’incredulità. Ma, una volta che sarete presi dal film, non avrete tempo di starla a sentire, quella piccola stronza.

Ho letto da qualche parte che The Perfection è un horror spazzatura di serie B mascherato da esperimento d’autore. Sono consapevole dell’accezione negativa di questa descrizione, eppure è assolutamente azzeccata: se la si intende al contrario, in senso positivo, è perfetta per restringere il campo e tentare di dare un nome a una creatura selvaggia e sconosciuta, di una specie mai vista prima; questo è The Perfection, un essere che ha un’identità tutta sua, cinema di genere che rivendica con orgoglio questa etichetta e, allo stesso tempo, raffinato gioco intellettuale annegato nel sangue e nel vomito.
Può anche non piacervi, ma difficilmente troverete qualcosa che gli somigli, anche alla lontana.
The Perfection prende tutti i luoghi comuni sulla musica, su chi la studia, sull’ambizione, sul sacrificare la propria vita a un obiettivo (quello del titolo) e te li rivolta contro; in forma simbolica, ma neanche troppo, te ne mostra il prezzo e le conseguenze, e lo fa con la sfacciataggine e la potenza che solo la serie B si può permettere.
Dice anche un paio di cose interessanti sullo stereotipo della rivalità femminile, giocando con precisione beffarda sulle nostre aspettative, su quello che vogliamo le due protagoniste facciano, su come vogliamo diventino: dopotutto, quando una donna che ha rinunciato al successo ne incontra un’altra che il successo lo ha raggiunto, può solo andare tutto storto, vero?

Sì, certo, va tutto storto, eppure ci va in un modo così originale che, per almeno 70 su 90 minuti, ve ne starete pietrificati sulla vostra poltrona, sbattendo le palpebre e chiedendovi cosa diavolo sia appena successo.
Shepard gioca sporco, spesso bara, usa dei trucchetti di montaggio che, in un altro film, avrei trovato irritanti, ma qui funzionano e, anzi, amplificano la sensazione di essere presi a calci da cinque o sei direzioni diverse contemporaneamente, accentuano l’effetto di trovarsi nel mezzo di una tempesta, di non essere riusciti a prevedere neanche il più insignificante sviluppo narrativo.
Gran parte del merito è da ascrivere alle interpretazioni di Williams e Browning: se la seconda ha, in un certo senso, il ruolo meno complesso, perché con qualche sfumatura in meno, la prima si conferma una nuova regina dell’horror contemporaneo, specializzata in interpretazioni ambigue e personaggi fuori dall’ordinario; non si riesce mai a capire cosa nasconda davvero Charlotte, non è possibile stabilirne la lucidità o la sanità mentale, è una guida inaffidabile che ci conduce all’inferno tenendoci per mano, suscita amore, odio, compassione e rabbia anche solo tra un’inquadratura e l’altra. Sa fa paura quando “recita” da villain ed è in grado di trasmettere tutta la sua sofferenza quando invece “recita” da vittima. Io davvero non so dove si fosse nascosta prima di Get Out, ma la sua scoperta è un’altra cosa per cui devo ringraziare Jordan Peele.
Siamo soltanto a maggio e può darsi che, nei prossimi mesi, io sarò costretta a ricredermi, ma se dovessi scegliere adesso un solo titolo horror per il 2019, non avrei dubbi: The Perfection.

20 commenti

  1. Bellisimo film, pure io pensavo di aver capito la trama, ma poi la svolta.

    Per non fare spoiler…non e’ quello che sembra o pensate di vedere.

    Le attrici belle e straordinarie, Logan Browning vista nella serie tv Dear White People e Allison Williams in Get Out e Una serie di sfortunati eventi.

    1. Sì, sono molto brave entrambe. E hanno un’ottima alchimia insieme.

      1. La perfezione sono loro

        [img]https://i.imgur.com/kVt8J3a.jpg[/img]

  2. Annarita · ·

    mi è piaciuto moltissimo! già dalla colonna sonora classica ma straniante fino alla scena finale che, nella sua follia anatomica, tra cronenberg e lynch, è strepitosa…

    1. L’inquadratura finale è poesia pura. Ma poi raramente mi è capitato, con un film, di cascarci con tutte le scarpe come con questo.
      Dopo anni e anni di horror, thriller e film dalla trama niente affatto lineare, sono diventata abbastanza brava a prevedere i colpi di scena, ma questa volta niente. Ci sono rimasta 😀

  3. Andrea · ·

    Veramente notevole..e le due attrici sono straordinarie..da vedere!

    1. Infatti è un film che vive delle interpretazioni delle due attrici: rendono credibili anche i momenti in cui la sospensione dell’incredulità è a rischio

  4. Blissard · ·

    Anche a me è piaciuto molto, solo che ho trovato piuttosto triviale, facilona e “americana” la scelta di aver voluto, nel pre-finale, banalizzare un elemento che fino a che era rimasto soltanto suggerito risultava assai più efficace. Non dico di più per non dover ricorrere a spoiler, spero però che si capisca a cosa mi riferisco.

    1. Sai che non lo so se ho capito? 😀
      Ma ti riferisci al motivo scatenante di tutto?

      1. Blissard · ·

        Mi sono subito reso conto di essere stato criptico…mi sa che mi tocca ricorrere a un mega
        SPOILER: a un certo punto nel film, quando a Lizzie viene detto senza mezzi termini di andarsene dalla scuola, si inizia a palesare sempre più distintamente quanto i metodi e lo spirito che animano la prestigiosa istituzione siano assimilabili alla crudeltà e alla spietatezza, con i flashback di Charlotte a richiamare l’inumana esigenza del suo maestro nella red room. La progressione secondo me fino a quel punto è gestita magnificamente: la vita nella scuola era un incubo, una perenne tortura psicologica. Ora non so, ma ho come l’impressione che negli USA la tortura psicologica sembri una quisquiglia, quindi gli sceneggiatori pensano bene di palesare che ad essa si accompagnava anche quella fisica, con la ridicola immagine del maestro nudo con a fianco i suoi colleghi e le didascaliche parole “Ti punirò come mio padre puniva me e loro, come mio nonno puniva mio padre, etc. etc.”. Secondo me questa è una caduta di gusto notevole, che fa perdere profondità al film e banalizza (e rende quasi ridicolo) un abominio come lo stupro. Non so se hai avuto la stessa impressione.

        1. Non so, a me non è parso che lo stupro venisse ridicolizzato, quanto esplicitato, perché fino a quel momento, non c’era una certezza in merito a quello che davvero succedeva tra le mura della scuola. E, secondo me, è giusto dirlo chiaramente. Forse non tramite il “monologo del villain”, ma comunque non lasciarlo sottaciuto.

          1. Sono d’accordo, sai? Ho pensato la stessa cosa. Forse perché ho un’età che mi permette di affermare che una delle prime cose che ho mandato a memoria, dopo la canzoncina di Heidi, è stato l’incipit di Fame: “voi fate sogni ambiziosi, sucesso, fama…ma queste cose costano ed è proprio qui che cominciate a pagare…col sudore”. Io detesto la figura dell’insegnante sadico che con i suoi ripetuti atti di crudeltà forgia il talento, quello tipo il perfido e vendicativo Terence Fletcher di Whiplash, un film che è praticamente l’apologia della pedagogia nera. Non fraintendetemi: il film mi è piaciuto, e proprio perché anche io, appena ho iniziato a guardarlo, ho sbuffato presuntuosamente: ecco, la solita storiella tipo Baby Jane… e invece no. Mi piace quando qualcosa mi sorprende. e questo film ti sorprende. Ma anche secondo me la sessualizzazione della crudeltà qui fa perdere alla pellicola un’occasione che io – da strenua odiatrice di Whiplash – per un attimo ho pregustato: quella di sbertucciare la retorica mefitica della violenza come strumento formativo.

          2. Ed entrambi avete ragione, però la mia interpretazione della cosa è un po’ diversa: io ci ho visto dei maschi bianchi, potenti e ricchi, che usano il sesso per tenere sotto sudditanza psicologica delle giovani donne, perché la tortura psicologica, pur presente, non basta, devono comunque affermare la propria supremazia tramite un dominio di natura anche sessuale.
            Secondo me aggrava, e non affievolisce il discorso – chiamiamolo così – “anti-Whiplash”.

          3. Blissard · ·

            Capisco il tuo punto di vista pur ritrovandomi al 100% in quello del ricciocorno schiattoso.
            Il sottotesto “white-rich-abuser” era probabilmente nelle intenzioni programmatiche del regista, però personalmente considero una debolezza dello script quella che ricciocorno definisce giustamente “sessualizzazione della crudeltà”: perchè Charlotte dovrebbe essere così legata ad una scuola nella quale ha subìto abusi sessuali? In più, come ti ho scritto, ho trovato la raffigurazione e la gestione della violenza in sè non all’altezza della raffinatezza del resto del film.

          4. Sulla raffigurazione sono d’accordo. Più che altro perché è troppo coreografica per essere credibile. Sul resto, credo che molto lo faccia la rimozione, molto il fatto di non sapere dove altro andare, di non avere altro se non la scuola.
            In fin dei conti, per quanto atroce, la malattia della madre è stata la salvezza di Charlotte.

          5. la scena finale con loro che suonano in perfetta “simbiosi” e’ meravigliosa 🙂

  5. Simone · ·

    visto ieri sera, davvero bello. confesso che era un po’ di giorni che non leggevo il blog quindi non mi sono avvicinato al film “per merito tuo”. però circa a metà a film ho dovuto bloccare il film per controllare il blog pensando “possibile che Lucia non abbia scritto nulla su questo?” e infatti….

    1. Sono una certezza 🙂 Grazie!

      1. Simone · ·

        Prego☺️

  6. Giuseppe Schiavoni · ·

    Appena finito, grande film. Ormai è talmente raro trovare un film che non superi i 90 minuti, e soprattutto che non abbia una sola scena di troppo, messa lì solo per allungare la brodaglia. Purtroppo, per quanto mi riguarda, vedere un film a casa non è come vederlo al cinema. Mi distraggo, metto in pausa, mangio, penso alle bollette, guardo il maledetto telefono. Sono rarissimi i film che mi ipnotizzano, e questo è uno di quelli. 90 minuti che sfiorano la perfezione, ragione per cui per questa volta non torturerò il regista.