Okja

 Regia – Joon-ho Bong (2017)

SONO PRESENTI SPOILER

Sembra fatto apposta, ma vi giuro che non ci avevo pensato in anticipo a dedicare la settimana a Bong, ma non avevo calcolato il fatto che ieri, qui a Roma, era un giorno di festa e che avrei avuto il tempo di vedere Okja, approdato su Netflix dopo il passaggio in concorso a Cannes, il 28 giugno. Si tratta della seconda volta in cui il regista coreano si va a cacciare nel ginepraio di Hollywood, usando in gran parte finanziamenti, attori e location americane. Solo che, a differenza di Snowpiercer, dove i Weinstein si sono tenuti il final cut del film, Netflix ha invece lasciato a Bong totale libertà. Lo stesso Bong, dopo le polemiche a Cannes, ha dichiarato che Okja non sarebbe mai potuto esistere se fosse stato distribuito alla maniera tradizionale. E qui bisognerebbe fare un paio di riflessioni su dove stia andando il cinema e su quanto convenga arroccarsi su certe posizioni di difesa a oltranza della sala contro lo streaming (legale) brutto e cattivo che ammazza la poesia e, signora mia, quando il cinema era un rito collettivo eravamo tutti più felici.
Ma queste riflessioni ve le risparmio volentieri, limitandomi a dire che se un film come Okja ha bisogno di Netflix per vedere la luce, allora è necessario ripensare tutto il meccanismo distributivo. Sempre che non vogliate una sala riservata a cinecomics e poco altro e tutto il resto del cinema destinato alla fruizione casalinga. Fate voi.

Perché Okja, una trentina di anni fa, avrebbe avuto lo stesso impatto di E.T. e anzi, io credo che sia l’unico film a potersi fregiare del titolo di erede legittimo di E.T., e non in quanto film nostalgico, per carità: Okja è un’opera del nostro tempo, che riflette tutte le storture e le contraddizioni stridenti dell’epoca in cui viviamo, un film spielberghiano, ma fatto da uno Spielberg che, per vivere e operare nel 2017, si è dovuto far crescere un paio di metri di pelo sullo stomaco. Okja è l’erede diretto di E.T. proprio perché originale e nuovissimo, esattamente come lo era stato il film del 1982, con un tocco politico da cui, oggi, non è possibile prescindere neanche nel cinema fantastico e per ragazzi. Come dice il mio amico Fausto di Cinefatti nella sua recensione il messaggio socio-politico è perfettamente integrato nella struttura del film, come lo era del resto anche in The Host. Solo che qui è più smaccato, più forte, più violento anche, e intacca la natura stessa di “film per famiglie”, categoria a cui Okja appartiene solo in parte, almeno per il modo di intendere oggi i “film per famiglie”, che consiste nell’eliminazione del dolore, del dramma e della sconfitta.

Non a caso, su Netflix, Okja è vietato ai minori di 14 anni. Com’è possibile che un film che racconta dell’amicizia tra una bambina e un animale possa avere un divieto simile? Ci siamo cresciuti tutti con storie di questo tipo e abbiamo anche avuto i nostri bei traumi infantili legati a esse. Forse è meglio mettere un divieto che vedersi far causa da mamme inferocite perché i loro pargoli scoprono che la bistecchina quotidianamente divorata è in realtà un essere vivente che, per finire nel piatto, è passato attraverso atroci sofferenze. Ecco, tenetelo presente: Okja, di queste atroci sofferenze, non vi risparmia assolutamente niente e la parte finale, ambientata in un mattatoio, popolerà i miei incubi per gli anni a venire.  Eppure Okja rimane cinema anche per ragazzi, ma da guardare con un adulto vicino che ti spieghi cosa sta accadendo e perché sta accadendo. E abbiamo appena trovato una interessante definizione di ciò che dovrebbe essere il cosiddetto “film per famiglie”.

Del cinema per ragazzi (del cinema spielberghiano per ragazzi) Okja ha anche la delicatezza, l’afflato poetico, il caricare quasi tutta la narrazione sulle spalle di una protagonista bambina, Mija, interpretata da una giovanissima (classe 2004) Seo-Hyun Ahn che è un miracolo vivente e che, nonostante tutto quello che le accade nel corso del film, riesce a non perdere la sua innocenza e il suo sguardo incantato sul mondo che la circonda. Riesce a non perdere l’empatia che la caratterizza, anche se gli adulti intorno a lei la tradiscono in continuazione: Mija cresce sulle montagne insieme al nonno allevatore e a Okja, esemplare di super-maiale brevettato dalla compagnia Mirando, all’apparenza in maniera del tutto naturale e senza alcun impatto ambientale. Dopo sei anni, Okja viene portata via e Mija subisce il primo tradimento, quello da parte del nonno che le aveva assicurato di aver comprato il super-maiale quando invece non era vero. Separata dalla sua migliore amica, Mija cerca di raggiungerla a Seoul, dove viene in contatto con uno strambo gruppo di animalisti. E anche lì, viene tradita proprio da coloro che dovrebbero aiutarla, nonostante lo facciano con delle ottime intenzioni. È un percorso di disillusione, quello di Mija, che tuttavia mantiene una forte determinazione a salvare Okja fino alla fine, fino al mattatoio dove si concluderà la vicenda e dove Mija dovrà scendere a compromessi, dovrà scontrarsi con il fallimento, con l’impossibilità di poter salvare tutti quanti, con un lieto fine che è lieto solo a metà e lascia lo spettatore con un velo di straziante malinconia da portarsi dietro per giorni dopo la visione.

Bong non edulcora nessun aspetto dello spietato meccanismo economico che sta dietro l’amicizia tra Mija e Okja, non nasconde l’impotenza e il velleitarismo di chi a questo meccanismo si oppone e, anzi, ironizza in maniera molto incisiva su entrambe le cose; sottolinea i contrasti, non dà facili risposte, non compie neppure una distinzione così netta tra bene e male, in quanto anche ai personaggi negativi è fornito uno spessore superiore alla media, e affronta un discorso che va al di là delle “multinazionali brutte e cattive”, ma si interroga sulle fondamenta del nostro sistema di vita, su ciò che consapevolmente scegliamo di non sapere o vedere, sul prezzo che le nostre coscienze (quelle di tutti, non solo del “cattivi”) devono pagare per sopravvivere senza impazzire. Per questo, ferma restando la sua struttura da fiaba fantascientifica, Okja è un film molto complesso: sono complessi gli argomenti messi in campo, sono complessi i problemi per i quali non esiste una facile soluzione e vengono offerti alla mente dello spettatore svariati dilemmi di natura etica. Perché di etica si tratta, non di passare le giornate su Facebook a prendere per il culo i vegetariani (lasciatemi sfogare) postando foto di succulente grigliate. Se non riuscite ad approfondire più di così i vostri ragionamenti, non cominciate neanche a guardarlo, Okja, perché non ve lo meritate.

Ma vi perdereste un pezzo di cinema di statura elevatissima. E qui c’è un piccolo rimpianto per non poter vedere un’opera simile su grande schermo: rispetto ai tempi di The Host, sono stati fatti passi avanti enormi per l’integrazione tra attori e CGI e credo che Okja sia davvero un esempio di dove può spingersi il cinema con l’ausilio della tecnologia. Al servizio della storia e dei sentimenti che essa suscita, però. Proprio come in The Host, con cui Okja ha moltissimi punti in comune: se l’attacco della creatura al fiume nel film del 2006 è da annali del cinema, la fuga di Okja nel supermercato di Seoul fa letteralmente impressione. Bong usa il solito sistema di accompagnare l’azione con la macchina da presa mediante movimenti continui e molto fluidi. E movimento è la parola chiave per tutte le sequenze in cui il super-maiale protagonista è in azione. Non inteso alla Michael Bay (con tutto l’amore rinnovato nei confronti del buon Michael), ma basato su una chiarezza espositiva che ha dell’incredibile. Okja è un personaggio, credibile ed espressivo tanto quanto i suoi colleghi attori e il fatto che sia nel 90% dei casi ricreato in post-produzione non si nota neppure, tale è la perfezione non solo dell’effetto speciale in sé, ma della regia di Bong, dei tracciati compiuti dalla MdP. Uno spettacolo e una festa per i nostri poveri occhi stanchi.

Okja è l’ennesimo colpo messo a segno da un regista che, dopo non aver mai sbagliato un film in tutta la sua carriera, può essere considerato tra i più significativi della sua generazione. Abbiamo davvero di fronte il nuovo Spielberg, ma non una semplice imitazione, non nel senso di ricreare quelle atmosfere e quel modo di girare che è inconfondibile. Bong è il nuovo Spielberg perché riesce, come lo Spielberg a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, a incarnare il prototipo perfetto del regista di cinema fantastico (e non solo), profondamente radicato nel contesto contemporaneo, capace di raccontare storie dall’impatto universale, che trascendono la cultura di appartenenza e assurgono allo stato del mito.
Vedete Okja, ma vedete anche The Host, Memories of Murder, Mother e Snowpiercer. Insomma, fatevi una bella maratona e salutate l’unico erede vero di Spielberg.

 

12 commenti

  1. Ho una resistenza bassissima a vicende che riguardino creature innocenti, mi commuovo alla sola locandina, per questo evito quando posso film con animali vari, ne esco devastato. Detto questo, ci riprovo ogni volta che magari l’asticella si sposta e tra le lacrime qualche fotogramma in più riesco a coglierlo 😀 e ci proverò con Okja.
    Tra l’altro sto a poco dal finire la “maratona Villeneuve” (okay, si fa presto a dire “a poco”, ora vedo che me ne mancano almeno tre, La donna che canta, Polytechnique e Maelstron).
    Quale momento migliore per iniziarne un’altra? Di Bong ho visto solo Snowpiercer e The Host, ma entrambi li rivedrei volentieri.

    1. Allora, il finale del film è straziante, io ti avviso, perché mi stavo sentendo male. Però è un film talmente bello che vale la pena di soffrire.
      Poi, quando avrai visto La Donna che Canta e Polytechnique, mi fai sapere 😉

  2. Eh, già: quelli che su facebook pubblicano foto di bistecche per deridere i vegetariani. Si sentono irriverenti, dissacranti, così scorretti. Eppure sono persone tristissime che non capiscono nulla dei tempi in cui vivono. Perché la sorte di un animale che finisce in un mattatoio non è dissimile da quella di milioni di umani che finiscono nei mattatoi della guerra, miseria, Okja ci fa riflettere su come la sofferenza degli altri ci venga addolcita attraverso il marketing, nascondendo le cose reali, e come la compassione forse non ci salvi, ma ci renda un po’ migliori. Sopratutto rispetto a quelli che fan cinismo di bassa lega. Peccato che non vi sia una visione al cinema, perchè opere di questa intensità dovrebbero esser visti da tutti, anche da chi non ha Netflix. La quale comunque fa un ottimo e superlativo lavoro e io non posso che ringraziare questa azienda e le sue scelte
    Tra le quali: una sorta di puntata conclusiva di Sense 8, così noi siamo contenti

    1. Sono argomenti troppo complessi per essere ridotti a meme su Facebook, eppure sembra che oggi tutto sia riducibile a un meme su Facebook. Invece il cinema, quello fatto da persone serie, cerca in ogni modo di mostrarla a tutti, questa complessità dell’epoca in cui viviamo. Un momento storico in cui non si può essere schematici, viene schematizzato al massimo e poi va a finire che la realtà difficilissima che ci circonda non viene più compresa.
      La notizia del finale per Sense8 ieri mi ha rallegrato la giornata 😀

  3. Alberto · ·

    Aspettavo di sapere da te se vederlo o no, quasi quasi speravo non ti fosse piaciuto così con la mia pigrizia ero a posto. Invece mi tocca (erede di ET? mi stratocca).

    1. Sì, erede, non imitazione. Per farti un esempio, Super 8 era una bellissima imitazione. Qui si tratta proprio di eredità.
      Spero ti piaccia 🙂

  4. Sembra un film talmente interessante che non vedo l’ora di riuscire a vederlo.

    Mentre aspetto, hai un premio da ritirare!

    1. Ma grazie, sono felicissima 🙂
      Però secondo le regole, io non potrei avere quel premio, perché ho più di 200 follower! :O

  5. Simone Paleari · ·

    Ho finito di vederlo adesso… e subito ho letto la tua recensione che avvertiva spoiler e non volevo rovinarmi la visione. Che dire? Davvero bello! Devo recuperare i film di Bong che mi mancano!

  6. Giuseppe · ·

    Un nuovo film di Bong che è anche l’erede naturale di E.T… beh, c’è proprio tutto, direi! 😉
    Il (solito) problema è che quando il buon cinema contemporaneo vuole affrontare senza ipocrisie né rassicuranti derive innocue e “cartoonesche” tematiche complesse e spinose come queste (so già, ovvio, che non mi renderanno facile la visione), allora va a scontrarsi frontalmente proprio con quel “grande” pubblico che in passato -prima di raggiungere i livelli di omologazione e immaturità attuali- avrebbe fatto a botte per vederlo nelle sale, mentre oggi credo nemmeno gli interessi fruirne privatamente su Netflix: né, del resto, aiutano granché quelle critiche “di parte” (perché solo questo sono, e nient’altro) riguardo alla presunta propaganda vegano/animalista di cui Okja si macchierebbe… per quanto io sia più che convinto che ce la vedano soltanto gli stronzi adusi a postare foto delle loro grigliate per sfottere i vegetariani, appunto (quando non li confondano direttamente con i vegani veri e propri, tra l’altro).

  7. Ma Paul Dano? Solo io gli voglio tanto tanto bene??
    Che bella la scena –SPOILER– della liberazione finale quando le dice di non guardarsi indietro 🙂

    Invece, unico appunto, Jake Gyllenhaal mi è parso decisamente fuori parte…

    1. Non lo so, perché il suo personaggio è totalmente sopra le righe e grottesco, però sì, è quello che mi ha entusiasmato meno rispetto agli altri. E Paul Dano è ❤