Get Out

 Regia – Jordan Peele (2017)

Quando Brian Yuzna diresse Society – ormai sono 28 anni fa – la ricchezza che metteva paura era quella pacchiana e ostentata dei villoni di Beverly Hills; oggi è quella sobria di vecchie case arredate con stile impeccabile (e qualche tocco etnico), disperse in mezzo alla campagna e abitate da professori con tendenze liberal: la versione infinitamente più figa dei casali in Toscana della nostra intellighenzia, insomma. Non sono dimore gotiche o decadenti, tutt’altro e i loro occupanti sorridono con gentilezza e si dimostrano di essere al passo coi tempi, tanto da accettare senza quasi battere ciglio che la loro giovane rampolla porti a casa per il weekend l’Uomo Nero, il fidanzato afroamericano.
Eppure, il risultato non cambia; anche se cambiano l’estrazione culturale, le idee politiche e l’ambientazione del film, Get Out è il Society 2.0 che tutti stavamo aspettando.
Non è, ovviamente, solo quello e ci mancherebbe pure, perché il film d’esordio di Jordan Peele che, fino a questo momento, non aveva mai avuto a che fare con l’horror, è un’opera originalissima e nuova, ma che ha la stessa rilevanza politica che all’epoca ebbe Society o che, ancora qualche decennio prima, ebbe The Stepford Wives. 
Sono questi i due film a cui si deve guardare se si ha qualche interesse a cercare i punti di riferimento di Get Out, oltre che a La Notte dei Morti Viventi, per ammissione dello stesso Peele, fonte di ispirazione fondamentale per il suo approccio al cinema dell’orrore.

Ed è qui che il giochino, sempre divertente ma anche un po’ sterile, sugli antenati di un film si fa interessante, perché La Notte dei Morti Viventi fu uno dei primissimi horror film a dare il ruolo di protagonista a un attore di colore, quando il cliché, ripetuto tante di quelle volte da non fare neanche più ridere, vorrebbe che fosse sempre il nero a morire per primo. Get Out è un film molto romeriano, il Romero meno noto e ancora più politicizzato di opere come Martin e La Stagione della Strega. Film minori o considerati tali. Comunque indipendenti, comunque di nicchia, come di nicchia sono gli altri padri nobili sopra menzionati.
Solo che Get Out non è un film di nicchia, ma un blockbuster: ha incassato 174 milioni, costandone 4,5, che sono cifre da capogiro. In proporzione, il ricavo è quello di un film Marvel. Pure se si è speso un altro milioncino in marketing, siamo di fronte a dei risultati impressionanti per un horror e non solo. Non so se è chiara la portata di un fatto simile: un horror fortemente politicizzato che si tramuta in un fenomeno commerciale, rischiando anche di diventare il miglior titolo di genere del 2017.

Chi dobbiamo ringraziare (a parte Peele) per un film così? Dai che ci arrivate da soli.
Esatto, Jason Blum, sempre lui, sempre il solito. Che poi pensateci bene all’ironia che sottende tutta la questa situazione: mentre si fa cadere una pioggia di Oscar su un film meno che mediocre solo perché il suo protagonista è nero, gay, con mamma tossica e padre putativo spacciatore dal cuore d’oro, arriva questo piccolissimo film che prende di mira proprio quella stessa gente andata in estasi per Moonlight. Non solo distrugge Moonlight in cinque inquadrature, incassa venti volte tanto e si dimostra un film migliore da ogni punto di vista possibile, ma è uno sberleffo ai sostenitori di Moonlight, che di solito sono bianchi e ricchi. Get Out è una risposta “da sinistra” (perdonatemi il termine, ma non me ne viene in mente uno migliore) a tutti quei discorsi insopportabili sui concetti di appropriazione culturale, razzismo, rappresentazione al cinema delle minoranze, che negli Stati Uniti sono diventati una vera e propria ossessione culturale, capace di scatenare polemiche infinite sul nulla e che, nel meno nocivo dei casi, finiscono per ricoprire di premi film di merda. Nei più nocivi, ammazzano direttamente la creatività di chiunque abbia il desiderio di raccontare storie per guadagnarsi da vivere.

Perché Get Out (almeno fino a cinque minuti dalla fine, ma ne riparliamo) è un’opera corrosiva e feroce che non ha alcun riguardo nei confronti dei suoi spettatori, non si preoccupa di offendere qualcuno e gode della libertà di cui, almeno fino a oggi, solo l’horror a basso costo può godere, dato che nessuno lo prende sul serio. I critici invece hanno cominciato a prendere sul serio Get Out e, qui da noi, è stato divertente assistere ai giri di parole usati per non definirlo horror. Mai sia, signora mia, che si debba disquisire seriamente di un filmaccio di serie B. Sabato, in sala, al posto della solita platea di ragazzini che di solito affolla questo tipo di proiezioni, c’erano solo teste canute, segno evidente che si trattasse di un film serio.
E invece no: Get Out è un horror, politico quanto volete, rilevante quanto volete, ma è comunque un horror e non è rilevante nonostante sia un horror, è rilevante nel suo essere un horror. Certo, il livello di sofisticazione presente nel film di Peele è superiore a quello di molta serie B anche amata e apprezzata da queste parti, ma l’horror è sempre stato un genere tentacolare, capace di esprimersi a più livelli. Qui siamo dalle parti della paranoia pura che è sempre stata quotatissima nel cinema dell’orrore di ogni epoca e latitudine. Paranoia che potrebbe essere semplicemente la proiezione di un ragazzo un po’ a disagio in un contesto che non gli appartiene e terrorizzato da quella che credo tutti noi abbiamo vissuto come un’esperienza da incubo: andare a conoscere i genitori dei nostri fidanzati o fidanzate.

Sia chiaro tuttavia che il dubbio sulla paranoia del protagonista Chris (Daniel Kaluuya) dura nella testa dello spettatore lo spazio di un battito di ciglia. Peele ci tiene particolarmente a indicarci con insegne lampeggianti che in quella casa e tra quelle persone così gentili c’è qualcosa che non quadra, come a Stepford, come nel quartiere del povero Billy in Society, la paranoia è un qualcosa che provano i personaggi, ma non gli spettatori. Agli spettatori, al contrario, tocca l’angoscia che deriva dalla consapevolezza.
L’atmosfera da incubo di Get Out è costruita in questo modo: siamo sempre un passo avanti a Chris nel suo graduale scoprire ciò che lo circonda; questo genera uno stato di disagio costante, un’ansia che Peele sfrutta alla grande disseminando il film di minuscole stonature che vanno a intaccare l’apparente armonia della cornice bucolica e della famiglia unita, progressista, di larghe vedute.

Jordan Peele

Get Out è così un crescendo allucinante che sfocia in un’esplosione di violenza da manuale. Peele prepara la sua trappola come se fosse la tela di un ragno. Si muove lentamente, non ha fretta di scoprire le sue carte, si affida molto alla recitazione e ai primi piani (dal basso, soprattutto) e, in generale, sta molto stretto sui personaggi. Anche perché non ha, in pratica, niente a disposizione. Get Out è davvero un film costruito sul nulla, non inteso affatto in senso negativo: è un film povero che sembra ricchissimo, è un film di attori senza star (la più famosa è Catherine Keener), un film brutale quasi senza sangue, un film politico dove di politica si parla in una sola scena e per circa venti secondi.
Ti entra sotto la pelle, Get Out, ti fa uscire dal cinema cambiato, con una cognizione più ampia dei tuoi limiti. O almeno, è ciò che è successo a me.
Peccato solo che abbia un finale debole. E ora, se non avete visto il film, vi conviene interrompere la lettura perché ci saranno grossi, pesanti immensi

SPOILER

Mi aspettavo un finale più romeriano, dato che l’ispirazione è proprio quella. Mi aspettavo che Get Out andasse a finire come La Notte dei Morti Viventi o almeno in modo vagamente simile. Non è andata così, purtroppo e il finale ci consegna un Chris trionfante, che ha fatto fuori tutti i cattivi con enorme soddisfazione delle platee (anche mia, intendiamoci), soccorso dal suo amico, quello con il ruolo di comic relief tatuato in fronte sin dalla prima volta che appare.
Non è un brutto finale, va anche a frustrare le aspettative dello spettatore: quando vediamo la macchina della polizia che si avvicina alle spalle di Chris, tutti pensiamo al finale romeriano di cui parlavo prima. Ciò non avviene e l’orrore finisce in un lampo, senza l’onda lunga che invece, a mio modesto parere, avrebbe potuto avere.
E infatti, c’è un finale alternativo in cui Chris viene arrestato. Peele ha detto di aver preferito rigirare il finale per dare una speranza al pubblico e voi lo sapete, nessuno è più convinto di me della necessità di dare qualcosa in cui sperare a chi ti ha seguito per due ore su uno schermo. Tuttavia, il finale originale mi sembra solo più coerente con tutto ciò che era stato mostrato fino a quel momento. Più coerente anche con il discorso politico di Peele, che rimanda a problematiche che fingiamo soltanto di aver risolto, mentre invece risuonano nella parte più profonda e peggiore di noi.
A parte questo, Get Out va visto senza scuse. È un’esperienza cinematografica importante, è l’ennesima dimostrazione che l’horror sta bene, vi saluta tutti ed è tornato a essere arrabbiato e a mordere la nostra coscienza sociale. E questa è una splendida notizia.

5 commenti

  1. Alberto · ·

    Gran film, e sarò di bocca buona ma non mi è dispiaciuto nemmeno il finale, per quanto, sì, ci fosse stato Romero avrebbe probabilmente spazzato via anche le ultime briciole di illusione. Comunque sei un asso a rendere atmosfera e significati di una pellicola senza svelare quasi nulla.

  2. Aradia · ·

    non sai quanto ci speravo nella recensione di questo film, che non ho ancora visto ma che sto aspettando da quando l’hanno annunicato. ora più che mai, non vedo l’ora di vederlo

  3. Andrea · ·

    grandissimo, piccolo film. Condivido in pieno il discorso su come un’opera gelida e paracula come Moonlight ne esca con le ossa rotte.

    [spoiler?]
    oviamente è solo un caso (e qui implica ben altre cose a livello di trama), ma anche nel bellissimo The Invitation mettevano sotto un animale prima di arrivare a destinazione. Cioè, porta proprio sfiga

  4. Cumbrugliume · ·

    Sensazionale il confronto con Moonlight, film che a me è comunque piaciu(cchia)to, ma che veramente non regge il confronto con Get Out… che comunque è un film non perfetto (ho storto il naso sul finale) e probabilmente molto più significativo per un pubblico americano.

  5. Werner (mega)Herzog · ·

    bello tutto, ma se questo “Get out” è un “horror” (e lo sarebbe pure, ma in senso moooolto lato), allora i film di zio tibia dovevano vietarli ai minori di 75 anni.