Cinema degli Abissi: The Lighthouse

Regia – Robert Eggers (2019)

Allora, come state? Passato un buon Natale? Non se ve ne siete accorti, ma qui è stato completamente ignorato, quest’anno, un po’ perché più invecchio e meno lo sopporto, un po’ perché sto preparando una cosa che, se dovesse riuscirmi (e non ne sono sicura), potrebbe piacervi parecchio, e quindi sono stata un po’ occupata. Quindi riprendiamo come se niente fosse e parliamo di uno degli horror più attesi del 2019, arrivato proprio come un miracolo natalizio a ridosso della vigilia. E si tratta anche di un film, a suo modo, abissale, motivo in più per essere felici della sua esistenza.
Prima di addentrarci nel mio goffo tentativo di analizzare un’opera così complessa, tuttavia, vorrei farvi notare una cosa: il 2019 è stato l’anno in cui sono usciti, in rapida successione, Jordan Peele, Ari Aster, Jennifer Kent, Mike Flanagan e, infine, Robert Eggers; in pratica, tutto il meglio dell’horror contemporaneo concentrato in appena dodici mesi. Film e autori diversissimi tra loro chiudono il decennio in maniera esaltante. Avremo modo di parlarne con più calma tra qualche giorno, ma intanto volevo che rifletteste su quanto siamo fortunati.

Detto ciò, partiamo dal dato tecnico, non solo perché desueto, ma anche perché ci permette di capire le intenzioni di Eggers nel mettere in scena questa storia: The Lighthouse è stato girato in 35mm e in un formato stretto e lungo, 1.19:1, che era quello utilizzato dagli studios all’inizio dell’era del sonoro, e di conseguenza dagli horror della Universal, come è noto, fortemente influenzati dall’espressionismo, se non altro grazie alla presenza di tantissimi tedeschi sui set. Ma non solo: la pellicola del film è trattata con un procedimento ortocromatico, atto a evocare la fotografia del XIX secolo.
Tutta questa serie di dati ha lo scopo di sottolineare come Eggers sia stato molto attento a creare un look, per il suo film, quanto più simile a quello di un’opera proveniente dal passato. Girare in bianco e nero non è un vezzo stilistico privo di senso, è una scelta narrativa, è un modo per calare lo spettatore in un’atmosfera antica. Se The Lighthouse fosse stato realizzato a colori e con i “normali” (perché siamo avvezzi a quello) formati 2:1 o 2:35, non avrebbe potuto raccontare la stessa vicenda, o l’avrebbe raccontata senza alcuna efficacia.

Di conseguenza, è prima di tutto un film molto scuro, anche se sono state utilizzate lampade potentissime, in un’operazione che mi ha ricordato quella compiuta in The Innocents (direttore della fotografia, un certo Freddie Francis), ma non buio, non nero. Semmai, è come se fosse stato tutto girato in una perenne zona grigia, dove è sempre tardo pomeriggio, piove e, quando non piove, il cielo è coperto; in seconda battuta, si svolge in ambienti stretti e claustrofobici che si sviluppano soprattutto in altezza (siamo dentro a un faro, dopotutto), nascondendo ai nostri occhi le loro reali dimensioni e la loro reale geografia, mentre il fuoco è sempre sui personaggi e mai su ciò che li circonda, aumentando così la sensazione di essere rinchiusi in un luogo inospitale e haunted insieme ai due protagonisti.
Anche nelle sporadiche incursioni all’esterno non aspettatevi alcuna apertura: il formato non la consente, e la MdP di Eggers perseguita Pattison e Dafoe senza concedere nulla al paesaggio, se non farci capire, senza alcun dubbio, che è lugubre e tetro.
In altre parole, gli accorgimenti tecnici e stilistici di Eggers congiurano, tutti insieme, non a raccontare semplicemente di due esseri umani che impazziscono, ma a portare anche noi sull’orlo della follia, come se ci trovassimo costretti ad assistere all’incubo di qualcun altro che diventa all’improvviso il nostro.

Ora, la “trama” di The Lighthouse è di quelle che possono scriversi su un fazzolettino di carta: due uomini a guardia di un faro, un vecchio marinaio e un giovane uomo, scivolano nella follia quando rimangono bloccati per un lasso di tempo indefinito sull’isola a causa di una tempesta che non si placa. Tom (Willem Dafoe) passa le sue giornate a maltrattare e a rendere la vita impossibile al suo sottoposto Ephraim (Robert Pattison), obbligandolo alle mansioni più umili e degradanti e impedendogli di avvicinarsi all’ultimo piano del faro, quello dove è situata la lampada, e a cui soltanto Tom può accedere.
Com’è lecito aspettarsi da queste premesse, la situazione degenera in fretta, ma non come ve lo aspettate, perché The Lighthouse è un film che alza il tiro ogni dieci minuti, che si spinge costantemente oltre, che sembra addirittura provocare lo spettatore a stargli dietro solo per il gusto di vedere dove può arrivare. Chi pensava a un clone di The Witch in bianco e nero, non ha la più pallida idea di quello che Eggers è riuscito a escogitare per la sua opera seconda.
Trattasi di cinema sperimentale, alieno a qualunque compromesso, sfacciato e pure un po’ arrogante; uno di quei film che ti costringe a piegarti al suo volere.

Ed è, molto più di The Witch, un film di attori. Ora, io non voglio apparire come la vecchia zia che sbraita: “ve l’avevo detto!”, ma Pattison è un attore immenso, e chi continua a pensare il contrario, a questo punto, è solo un mentecatto. Soprattutto, è un attore coraggioso, capace di trasfigurarsi nel ruolo assegnatogli e di donare a un film tutto se stesso. La disperazione, la rabbia prima repressa e poi in piena eruzione, il desiderio mai soddisfatto e l’estrema tensione fisica e psicologica del suo personaggio sono resi sullo schermo a livelli di eccellenza assoluta. Dal canto suo, Dafoe, è un maledetto sadico figlio di puttana, e il suo ghigno feroce è stato protagonista dei miei brutti sogni negli ultimi tre o quattro giorni.
Non potrebbe essere altrimenti perché, come dicevamo prima, l’intenzione di Eggers è quella di concentrare il fuoco sui suoi due protagonisti e caricare di indefinito l’altrove.

Per rendere tangibile e credibile la storia di questi due uomini che si trascinano nella pazzia a vicenda, Eggers costruisce un vero e proprio assalto sonoro. Se mi chiedessero di usare una sola parola per definire The Lighthouse, userei cacofonia. L’ho visto due volte, e forse mi sbaglio, ma credo non ci sia un solo istante di silenzio in tutto il film: la sirena del faro, lo stridio dei gabbiani, il ruggito delle onde, lo scrosciare violento della pioggia sul tetto, il rumore dei macchinari che mettono in funzione la lampada, e una colonna sonora che è come un ronzio di sottofondo, costante, fastidioso, un punteruolo nelle orecchie. Non è un film, The Lighthouse, è un’aggressione, un sequestro di persona, è un tizio che ti si avvicina per strada e comincia a urlarti in faccia maledizioni irripetibili in un monologo di circa cinque minuti.
Prendere o lasciare.
E, in tutto questo, è anche un film molto divertente. Non sto prendendomi gioco di voi, promesso: vi ritroverete, con vostro grande stupore, a sorridere, quando non a ridere di cuore, nel corso di alcune scene, e non a causa del ridicolo involontario. Tutto ciò che accade, in The Lighthouse non soltanto è volontario, è studiato, è preparato, è impostato con ore e ore di studio certosino della messa in scena.

Non voglio, in nessun modo, lanciarmi in interpretazioni sul significato del film; che si tratti di una rielaborazione della mitologia greca, del celeberrimo poema di Coleridge, o di una metafora del capitalismo (e secondo me, sono tutte e tre valide letture), il risultato non cambia di una virgola: grande horror d’autore che promuove Eggers sul campo da promessa a certezza.
Si potrebbe obiettare che forse tutto questo sperimentalismo rischia di essere lievemente autocelebrativo e provocatorio per il gusto puro della provocazione. Se devo dare un giudizio basato soltanto sulle mie sensazioni e sul mio gusto personale, credo che The Witch sia un film, nel suo complesso, superiore, ma la mia predilezione può essere attribuita al fatto che The Witch raccontava una storia che mi interessava di più, a cui mi sentivo, e tutt’ora mi sento, più vicina, anche da un punto di vista emotivo.
Cercando di restare quanto più possibile obiettiva, non posso che inchinarmi, e congratularmi con chi ha il fegato di proporre un’opera del genere alle soglie del 2020, nonché essere felicissima perché, ancora una volta, è l’horror il terreno privilegiato delle sperimentazioni più ardite ed estreme.

21 commenti

  1. in lista, lo guardo stasera 🙂

    puoi accennare qualcosa sulla sorpresa? 🙂

    1. No, non posso, perché se poi non dovessi riuscirci, sarebbe un’enorme figura di merda 😀

      1. caspita, deve essere una cosa grossa allora, 🙂
        ok, aspetto 🙂

  2. Mi fa piacere il tuo entusiasmo per un regista, Eggers, ed un attore, Pattinson, che non mi hanno dato nulla e che schiverei senza pensarci due volte.
    Farò quest’unica eccezione, ma che eccezione! Se tanto mi dà tanto, finirò per impazzire a mia volta e la mia risata folle risuonerà tra le strida dei gabbiani, lasciando che la pellicola si ripeta in continuazione sullo schermo – ma tu immaginami più simile a Di Caprio in The aviator, tutto pacioccoso e degno di compassione.

    1. Eggers suscita il mio entusiasmo da nerd degli strumenti di tecnica cinematografica, ma emotivamente un po’ meno. Pattison lo difenderò fino alla morte di fronte a quelli che hanno visto solo Twilight (un po’ come la Stewart, che adoro) e non hanno idea delle scelte di carriera compiute dall’attore dopo il 2008.
      Poi può anche lasciare indifferenti: a me, pur riconoscendone la grandezza assoluta, ha sempre lasciato indifferente Joaquim Phoenix, per esempio.
      Però questo film in particolare, mi sento di consigliartelo, dopo aver letto quello che scrivi a proposito del mare sul tuo blog.

  3. Blissard · ·

    La recensione è bella e approfondita, ma secondo me tralascia un particolare non proprio secondario: il film è estenuante, per non dire proprio noioso.
    Apprezzabilissimo il lavorìo tecnico e concettuale, coraggiose le scelte estetiche (io c’ho visto molto cinema sovietico anni 30, oltre che Dreyer ovviamente), straordinario l’impegno degli attori e nella resa delle locations; eppure a mio parere, gratta gratta sotto di sostanza ce n’è pochina, cosa che a mio parere è rilevabile anche nel precedente The VVitch, altrettanto affascinante e irrisolto (per non dire proprio noioso).
    Felicissimo di aver letto il tuo parere in merito, ad ogni modo.

    1. Concordo, il film è estenuante, e questo un dato di fatto. Sul noioso, dipende dalla percezione soggettiva, credo. Io mi sono un po’ annoiata solo verso la fine, quando lo schema diventa un po’ ripetitivo. Paradossalmente, la parte che funziona meglio è la prima.

  4. Questo è un film che attendo da molto tempo. Mi piaceva la scelta del regista di farlo in bianco e nero ma in maniera elaborata e studiata. E soprattutto apprezzo Dafoe e Pattinson come attori. E per l’amor del cielo smettetela di perseguitare il povero Pattinson (così come la povera Stewart) per colpa di Twilight. Lui è un bravissimo attore e in questi anni lo ha sempre dimostrato.

    1. Sì, sono entrambi ottimi professionisti, e non saper distinguere la loro carriera dal film che li ha lanciati è molto miope.

      1. Purtroppo è una cosa che si porteranno dietro ancora per un po’ ma noto che pian piano sta diminuendo. La Stewart ha dato grande prova in diversi film in particolar modo in Personal Shopper e non vedo l’ora di vederla in Charlie’s Angels. Pattinson invece è sempre stato un bravo attore fin da quando lo vidi la prima volta in Harry Potter ed è cresciuto parecchio come attore.

  5. Ciao, non l’ho ancora visto. Come devo vedere le ultime prove di Pattinson attore. Ma non riconoscere il coraggio di questo ragazzo è veramente da ciechi. Avrebbe potuto sedersi e godersi il successo del suo ruolo di bello mentre invece in questi anni ha fatto solo scelte coraggiose, un po’ come Radcliffe.

    1. Fanno parte di una generazione di attori molto coraggiosa. Radcliffe, devo dire, mi ha stupita ancora di più di Pattison: ha fatto delle scelte allucinanti, che alla fine hanno pagato.

      1. Giuseppe · ·

        Radcliffe, Stewart, Pattinson: i loro esordi sono ormai lontani, ma non sono pochi quelli che ancora persistono a ricordarli -e giudicarli- soltanto per quelli, ignorandone anni di crescita professionale (a proposito di Radcliffe, ma lorsignori avranno almeno provato a vederlo Swiss Army Man?)…
        Tornando a quest’ultima fatica di Eggers con le sue particolarissime scelte tecniche/estetiche, devo dire che la tua recensione mi ha messo addosso una grande curiosità (e la coppia Dafoe/Pattinson mi sembra particolarmente adatta per affrontare una “sperimentazione” di questo livello) a riguardo, così come del resto sono altrettanto curioso della sorpresa che ci stai preparando 😉

        1. Infatti Radcliffe, devo dire, è quello che mi ha stupita di più, perché credevo non fosse un buon attore (mea culpa). Pattison ha iniziato subito, da quando lo ha chiamato Cronenberg la prima volta, a dimostrare le sue capacità. La Stewart ormai è la musa di Assais, un motivo ci sarà 🙂

  6. Visto.
    In primis, Pattinson e Dafoe fanno scintille insieme, chi e’ ancora prevenuto e ancora critica Pattinson allora consiglio di guardare la sua prova attoriale qui.
    A parte le bevute colossali, la fotografia in bianco e nero (stupenda), la regia e il taglio cinematografico da pellicola retro devo dire che a fine visione il film non mi ha molto colpito.
    Ci sono molti difetti nella sceneggiatura, e molte domande rimangono irrisolte.
    Che cosa era la luce finale?

  7. Luca Bardovagni · ·

    Ciao. Mega OT: da quando mi sono imbattuto nel tuo blog e ti ho eletta un secondo dopo la mia recensora preferita, ogni tanto leggo qualche pezzo tuo random (e in effetti giusto ieri ho finito di vedere Somnia del tuo cocco Flanagan. Che mi ha spiegato meglio cosa intendi quando sostieni il tuo “amore per i personaggi”). Ho letto il tuo pezzo “la mia identità, i miei horror” e mi ha davvero intenerito.Sarà perchè ce l’ho pure io il millelire di LeFanu. Sarà perchè la MIA prof. di liceo, meno aberrante della tua, (merda,la tua starebbe bene coi nazipunks di Green Room) una delle rare volte che oltre ad avere 8 allo scritto avevo anche una buona condotta, tenne a mia madre un sermone con me presente ai colloqui sul fatto che NON dovessi leggere Stephen King.
    Eh niente. Grazie mille, così, in generale.
    Tornando IT: Uau, quel genietto arrogante di Eggers mira alto parecchio. Coleridge, il bianco e nero, l’espressionismo, il faro.
    Bene bene.

    1. Ciao a te e grazie per il mega OT: fa molto piacere. Certo che la tua professoressa aveva, anche lei, delle vedute un tantino ristrette in ambito letterario 😀
      Un sermone contro King, addirittura! Oggi temo che una cosa del genere non sarebbe più neanche immaginabile.

  8. Daniele · ·

    Imploro. Dove lo trovo questo film? Per favore.

    1. Ti segnalo un gruppo su Fb che sottotitola i film che qui da noi non hanno una distribuzione: si chiama Il guardaroba del buio in sala. Lo trovi lì, già con i sottotitoli in italiano.

  9. carlo rotolo · ·

    Bella recensione, ponderata, azzeccata anche nel titolo: cinema degli abissi.
    Film appena sbobinato, ma ancora tutto da ruminare. Molto bello allo sguardo, ipnotico per le interpretazioni – nel lungo monologo di dafoe mi e’ stato impossibile staccare lo sguardo da quella bocca, quei denti e quegli occhi. Dicevo, ancora da ruminare: con un po’ di vergogna confesso di non averlo afferrato e con molta vergogna ho dovuto googolare La ballata del vecchio marinaio per capire cosa fosse. A dirla tutta mi era sfuggito pure il richiamo evidentissimo e, questo si’!, del tutto alla mia portata al mito di prometeo, quando si dice invecchiare male.

    A livello sottocutaneo gia’ the witch, ma in questo film la cosa mi e’ sembrata piu’ marcata, contiuno a precepire forti eco di the Shinning. E’ solo immaginazione, la mia?

    1. No, non credo sia solo immaginazione. Qui è proprio evidente, mentre in The Witch era una vaghissima ispirazione. The Lighthouse deve davvero tanto al film di Kubrick, ma io credo che l’horror moderno sia un continuo ritorno all’Overlook.