High Life

Regia – Claire Denis (2018)

Nel 1999 esce un romanzo, dell’autore canadese Peter Watts, che sarebbe poi diventato il primo capitolo di una serie di libri dedicati ai Drifters; il titolo era Starfish e io non me lo sono più tolto dalla testa da quando, cinque o sei anni fa, sono riuscita a leggerlo dopo tante peripezie. Si tratta di fantascienza sottomarina: in un futuro non troppo distante, una gigantesca corporazione fornisce energia alla terra andandola a prendere sott’acqua, grazie a stazioni poste sul fondo delle grandi fosse oceaniche. Ma, dato che le persone cosiddette normali non funzionano a quelle profondità, escono fuori di testa e durano poco, la corporazione sceglie di inviare in queste missioni suicide i criminali e i malati di mente della peggior specie. Non solo resistono meglio e più a lungo, ma anche se muoiono, nessuno li rimpiange.
Vi parlo di Starfish perché ha una premessa molto simile a quella di High Life, con la differenza che il film di Denis si svolge oltre il nostro sistema solare, in una navicella spaziale mandata, sempre in missione suicida, a tentare di estrarre energia dai buchi neri.
L’equipaggio è comunque formato da criminali di varia natura, perché si sa che da questo viaggio non può esserci ritorno, che tutti loro sono destinati a rimanere lì, tra le stelle, a morire lì e, se non dovessero essere loro a riuscire nell’impresa, ci dovranno pensare i loro discendenti.

High Life è il primo film in lingua inglese di Claire Denis, nonché il suo primo approccio alla fantascienza, che è poi il motivo per cui ha deciso di girarlo in inglese: lo ha immaginato in quella lingua sin da quando le è venuta la prima idea per la sceneggiatura.
Quando un autore si accosta al cinema di genere, i rischi sono, di solito, abbastanza elevati: da un lato c’è il pubblico di riferimento del genere preso in considerazione (in questo caso la sf, ma è un ragionamento applicabile a qualunque genere) che ama trincerarsi dietro muri di cemento armato, e guai a non essere “uno di loro”, a non avere il pedigree, a voler rompere le palle a chi si sta divertendo e ha pure vinto; dall’altro si può riscontrare un atteggiamento di distacco da parte dell’autore stesso, che sì, utilizza l’estetica del genere, ma in realtà sta mirando ad altro.
Credo che molti fan della sf resteranno interdetti da High Life, ma non perché Denis, autrice internazionale con una filmografia alle spalle da far spavento, si sia avvicinata al genere prendendolo poco sul serio o limitandosi ad adottarne gli aspetti esteriori; resteranno interdetti perché sembra di assistere a un’opera della sf a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70; senza scomodare ancora una volta a sproposito i soliti Kubrick e Tarkovskij, mentre lo guardavo, ho avuto in mente roba come Silent Running, per fare un esempio un po’ meno banale del solito.
Quindi sì, High Life è decisamente fantascienza, pure con quattro i cinque momenti di horror puro, ma non del tipo a cui il pubblico odierno è abituato: fa parte di un filone che non esclude in partenza l’identità tra genere e cinema d’autore, ma anzi, la rivendica.

Lento, a tratti sgradevole, ossessionato dalla sessualità, morboso, da evitare se soffrite di claustrofobia, eppure sublime, High Life è un film che non rappresenta un’eccezione all’interno della filmografia di Denis; al contrario ne è uno sviluppo molto coerente. Quello che lascia di stucco è l’umiltà con cui la regista si è avvicinata alla fantascienza, senza pretendere di volerla piegare alle sue necessità, rispettandola profondamente, eppure mantenendo un’identità fortissima, quella di un cinema che, sin dagli esordi di Denis dietro la macchina da presa, fa quasi a meno dei dialoghi, evita le spiegazioni, rifugge la grammatica tradizionale del racconto; vedere tutto questo applicato alla sf nel 2019 è davvero rigenerante, anche se, ci scommetto, molti spettatori ne verranno respinti. Dopotutto, per il primo quarto d’ora, non assistiamo ad altro che a un padre (Robert Pattison) che si prende cura di una neonata, da solo, a bordo di un vascello spaziale diretto verso il nulla: non sappiamo chi sia, questo personaggio, cosa ci faccia lì, che fine abbia fatto il resto dell’equipaggio. Percepiamo solo due cose: una solitudine sconfinata e una tenerezza nei confronti di quella bambina, altrettanto sconfinata.

Dopo questo inizio così anomalo, la narrazione procede a ritroso, ma non è mai in grado di fornirci il quadro completo della vicenda, preferisce lasciare molti spazi vuoti, questioni irrisolte, domande in sospeso. È più una collezione di episodi, di crolli psicologici, aggressioni fisiche, sequenze repulsive o, al contrario, ove il lirismo diventa il registro per descrivere la repulsione, che una vera e propria successione lineare di eventi atti a ricostruire un storia. Si potrebbe addirittura obiettare che non ci sia, una storia da raccontare, ma non è vero, non del tutto: in realtà ci sono tante storie di cui ci vengono concessi soltanto dei frammenti, le storie di questi detenuti finiti a vagabondare nello spazio, a morire per (probabilmente, non è chiaro neanche questo) salvare un pianeta che Denis ci fa intravedere a stento, ognuno di loro ad affrontare l’orrore cosmico ed esistenziale come meglio può, e ognuno di loro destinato, gradualmente, a cedere a esso. Tranne, e solo fino a un certo punto, il protagonista Monte, cui spetta di farsi carico del futuro della nostra specie.

Più di tutto, High Life è un film misterioso, che mantiene il proprio mistero fino alla fine, e ha alcun interesse di svelarlo agli spettatori. Raggiunge l’astrazione totale parlando soprattutto dei corpi, degli esseri umani in quanto carne e fluidi (sangue, sperma, latte materno), non teme di essere disgustoso e violento, di arrivare, in una scena in particolare, persino a toccare eccessi gore e quindi di sporcarsi, cosa del resto Denis ha sempre fatto. Ti ipnotizza, ti lascia spiazzato, a chiederti cosa diavolo hai appena visto, tiene ben lontani i cliché, pur avvalendosi di meccanismi codificati: la distopia, il viaggio oltre il sistema solare, il fascino dei buchi neri, la riproduzione in laboratorio e via così, tutte cose che conosciamo bene a abbiamo già visto altre volte, ma mai così.
Anche esteticamente, High Life, si avventura in territori desueti: le scenografie sono vetuste, mancano quelle superfici lisce e scintillanti che subito ci fanno pensare alla fantascienza contemporanea; l’aspetto esteriore della nave è volutamente poco accattivante, gli interni spogli e squallidi. Sembra un luogo a metà tra una prigione (e in effetti lo è) e una fabbrica. Fa eccezione la serra, dove le piante crescono rigogliose, ma in maniera disordinata, selvaggia, quasi che l’equipaggio abbia perduto il controllo anche delle coltivazioni e queste si sviluppino da sole, in maniera autonoma.

Nonostante l’equipaggio sia composto da parecchie persone, sono tre gli attori che spiccano nel mucchio: il già nominato Pattison, sempre più bravo e a suo agio con un cinema anticonvenzionale, così bravo che quasi mi dispiace vederlo tornare ai blockbuster con il prossimo Batman; Juliette Binoche, che incarna una versione molto particolare  dello scienziato pazzo, e la meravigliosa Mia Goth, nel ruolo più complesso ed estremo di tutti, un personaggio, il suo, quasi privato della parola, che si esprime con il corpo, animato da una furia quasi bestiale e da una dolcezza angelica.
La verità è che non ci sono parole per descrivere High Life, e tutto questo mio blaterare è solo un tentativo per spingervi a vederlo, senza pregiudizi, senza aspettative, provando a farvi catturare da un film che ribadisce la necessità e l’importanza di un tipo di cinema diverso e distante dai colossi che vediamo sbarcare in sala tutti i giorni. Non perché questi colossi non abbiano dignità o siano intrinsecamente malvagi, ma perché è fondamentale che esista anche altro, un qualcosa che non stia lì a darci ciò che vogliamo, ma ci ponga dei problemi, delle domande, risvegli in noi il desiderio di capire.
Ovviamente, il film è uscito quasi in ogni parte del mondo tranne che in Italia, ovviamente è una distribuzione A24, che regala sempre e soltanto cose straordinarie, ovviamente sarebbe l’ideale vederlo su grande schermo, ma qui alla periferia del mondo, ci dobbiamo accontentare e sperare che qualche piattaforma streaming se lo accatti. Anche perché, nei cinema nostrani, farebbe tre lire, e in fondo è giusto così: non ce lo meritiamo.

 

13 commenti

  1. Messo in lista, sembra molto interessante, anche se la trama mi ha ricordato un po’ Interstellar :/
    grazie Lucia 🙂

    ps: certo che vedere Robert Pattinson senza il classico look di Twilight lascia un po’ spiazzati,
    ma lui adesso e’ ufficialmente divorziato con Kristen Stewart?

    1. Annarita · ·

      @alex: kristen (una attrice di razza, che è riuscita a slegarsi subito dal personaggio di bella swan) non credo che si sia mai sposata con Robert, per varie ragioni….

      1. No, non si sono mai sposati, ed entrambi sono ottimi attori che hanno cominciato giovanissimi e sono riusciti a scrollarsi di dosso, a fatica, i loro esordi.

        1. Strano, mi sembrava di aver letto che erano stati sposati, comunque sono stati fidanzati.
          Notizia presa dal web
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          Robert Pattinson e Kristen Stewart si sono lasciati nel maggio del 2013 dopo una relazione lunga quattro anni.

          La rottura è arrivata un anno dopo lo scandalo che aveva travolto l’attrice, paparazzata nel 2012 mentre baciava il regista Rupert Sanders che la dirigeva nel film Biancaneve e il cacciatore.

          La star si scusò pubblicamente, con la moglie di Sanders e con Pattinson, che decise di provare a perdonarla e riprovarci.

          Tentativo che però fallì un anno dopo.
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          🙂

  2. Annarita · ·

    purtroppo l’italia si conferma paese impermeabile alla sci-fi innovativa e non hollywoodiana…qualcuno sa è arrivato o se/quando distribuiranno il nordico e (a giudicare dal trailer) interessantissimo “aniara”, tratto da un poema svedese del 1956?!?

    1. Ti confermo che, purtroppo, non è mai arrivato dalle nostre parti. Come sempre, la speranza è che qualche piattaforma streaming lo acquisti, prima o poi.

  3. Interessante, recupererò senz’altro

  4. Giuseppe · ·

    Un film ostico che mi incuriosisce alquanto… e il fatto che, in un certo qual modo, possa averti ricordato il lavoro di Trumbull è per me un incentivo in più a recuperarlo 😉

  5. Nicola · ·

    Appena finito di vederlo (e visto grazie alla tua recensione). Film che mi ha buttato addosso un’inquietudine che chissà quando mi abbandonerà 🙂
    Disturbante e affascinante in ugual misura. Con Binoche e Goth (che mi era già piaciuta molto in Suspiria) superlative. Molto bravo anche Pattinson, in attesa di vederlo in The Lighthouse.

    1. Pattison sta facendo delle scelte di carriera ottime, niente affatto scontate.
      Ora sì, aspettiamo tutti con ansia The Lighthouse, sperando in una sua uscita cinematografica, anche se un po’ improbabile.

      1. Nicola · ·

        In effetti è uscito a Cannes ma non è fino ad ora stato comperato da nessun distributore italiano. Speriamo non sia un altro film A24 a non arrivare nelle sale italiane 😦

        1. Intanto a luglio la A24 ci porta qui Midsommar. Magari per The Lighthouse dovremo aspettare l’estate prossima, ma credo che prima o poi, lo vedremo anche noi, un po’ come successe per The VVitch.

          1. Nicola · ·

            Vero! Midsommar è un altro film che attendo con impazienza anche per la presenza di Florence Pugh che ho adorato in Lady Macbeth. E mi hai ricordato che devo rivedere Hereditary, in lingua originale 🙂