The Darkness e la Maledizione del PG13

The_Darkness_poster Regia – Greg McLean (2016)

Prendi un regista australiano con almeno due cult all’attivo (più un ottimo film su un coccodrillo gigante, che non viene mai menzionato abbastanza), portalo negli Stati Uniti e fagli scrivere una sceneggiatura di un horror soprannaturale con l’intento, puramente teorico, di andare a pescare nella mitologia dei nativi americani. Dopodiché, adegua il tutto allo stile tipico della tua casa di produzione, quella che porta il tuo nome, la Blumhouse, specializzata in pellicole dell’orrore PG13 indistinguibili (fatte salve rare eccezioni) l’una dall’altra e consegna in mano al regista una cifra di circa quattro milioni di dollari, gran parte dei quali vanno a coprire gli ingaggi di un cast importante. Cosa ti puoi aspettare?
Dal punto di vista di Jason Blum, di recuperare i costi esigui e di guadagnarci qualcosina sopra. E la missione è di sicuro compiuta, dato che il film, con una release limitata, ha già raddoppiato il budget di partenza. Dal punto di vista mio, di molta critica specializzata e, suppongo, anche del povero McLean, un mezzo pasticcio.

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Quella che segue non è una recensione negativa. Non è proprio una recensione. È un tentativo di fornire qualche spunto su cui riflettere, partendo da un caso, a mio avviso eclatante, di non riconoscibilità di uno stile, di appiattimento totale a delle esigenze produttive, che hanno portato alla quasi scomparsa di McLean dall’equazione, lasciando al suo posto un film vuoto, piatto, completamente anonimo. La classica pellicola Blumhouse targata PG13, insomma. Perché, quando la stessa casa di produzione sforna film col marchio R, la musica cambia, e di parecchio. Pensate a Oculus, Hush, Sinister, o allo stesso Unfriended, che, pur con tutti i suoi limiti estetici, aveva qualcosa da dire e la diceva anche bene.
Per cui, non è che la Blumhouse produca solo spazzatura. Affermare una cosa del genere equivale a negare la realtà oggettiva.
Però, quando ti combina un casino come The Darkness, tutti i limiti insiti nella concezione produttiva della Blumhouse vengono all’improvviso a galla e ti ricordano che iattura infinita sia il PG13, che orrenda sciagura abbattutasi sul cinema dell’orrore come un uragano. E non perché, chiariamolo subito, The Darkness sia un film particolarmente brutto. Non è così. È solo un film che, se non avessi letto il nome del regista, non sarei mai riuscita ad attribuire a McLean e, anche sforzandomi tantissimo, non riesco tutt’ora ad attribuirgli, nonostante sappia che ha messo la firma su regia e sceneggiatura.

The Darkness parla di una famiglia americana in vacanza nel Gran Canyon. Il figlio minore della coppia, Mikey, si avventura da solo in esplorazione e cade in un crepaccio, dove trova cinque pietre con dei simboli incisi sopra. Genitori e sorella maggiore non si accorgono di nulla e tutti tornano a casa come se nulla fosse. Ma, una volta terminata la vacanza e ricominciata la routine quotidiana, cominciano ad accadere strane cose, avvenimenti che sembrano scaturire proprio dal giovane Mikey, bambino autistico e problematico.
La colpa è tutta di James Wan e, in particolare, di Insidious, la saga che ha dato vita alla nuova ondata di horror PG13 cavalcata dalla Blumhouse. Lo schema alla base di The Darkness è infatti molto simile a quello di Insidious che, a sua volta, contraeva un debito piuttosto pesante con Poltergeist. E, infatti, vedere The Darkness è come sedersi ad assistere a una versione annacquata di entrambi i film.
Intendiamoci, tutto il cast, con Radha Mitchell e Kevin Bacon in testa, funziona a meraviglia. Lucy Fry, che già aveva dato ottima prova di sé nella serie televisiva tratta da Wolf Creek, interpreta anche qui un’adolescente difficile, mentre i suoi genitori, troppo presi dal disturbo di Mikey e dai loro problemi personali (che non sono pochi) la ignorano e si accorgono troppo tardi di quanto sia seria la sua situazione.

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Tutti spunti ottimi, che evidenziano un tentativo di cura dei personaggi lodevole. Solo sulla carta, però, perché poi ogni snodo della trama sembra un filo staccato, lasciato a pendere per conto suo: Mikey afferma più volte di avere un’amica immaginaria di nome Jenny, ma poi questo elemento viene completamente dimenticato e di Jenny non si fa più menzione; in una sequenza in realtà di grande impatto, si scopre che la figlia maggiore è bulimica, ma anche questo non ha alcun peso o conseguenza ai fini dello sviluppo della storia e, dopo quella singola scena, è come se non fosse mai accaduto.

I motivi di questa confusione narrativa sono chiari: i film Blumhouse, da sempre, devono attestarsi su durate basse e difficilmente sfondano il muro dei canonici 90 minuti, titoli di coda esclusi e hanno, tutti, una struttura molto simile, con una scansione molto precisa degli spaventi e McLean (che non è una macchina da incassi come Wan) non è fatto per essere messo alla catena in questo modo.Vedendo The Darkness, è evidente che manchi qualcosa e questo qualcosa deve essere finito nella cartella “scene tagliate” di Avid e tanti saluti a coerenza e approfondimento. Non sono quelle le cose che contano in un horror PG13 Blumhouse. Contano solo i jump scares.
Ora, il jump scare non è materia di McLean, e si vede. Non ne abusa e ne piazza giusto un paio, telefonatissimi, quasi pagasse dazio. Ma, dove non arriva il regista, arriva il sonoro. Ed ecco che si supplisce alla mancanza di scene girate apposta per generare il salto sulla sedia con un uso da denuncia penale degli effetti di suono e della musica. Così, anche gli avvenimenti più innocui vengono accompagnati da un’impennata di volume che ti fa percepire il jump scare persino quando non c’è. Inoltre, molte scene che potrebbero avere un buon impatto visivo, perché dirette alla grande, sono rovinate proprio dall’impiego del sonoro. C’è bisogno, dico io, di sottolineare con uno sbalzo di volume, ogni impronta che si va a stampare sulla faccia di Lucy Fry, in un momento che potrebbe funzionare benissimo anche quasi muto e senza musica? E che anzi, esteticamente funziona, ma va a vuoto proprio perché lo si carica all’inverosimile?

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È proprio che la personalità di McLean non si adatta a questo tipo di storia. Lui è un regista che ha sempre usato a suo vantaggio gli spazi aperti. The Darkness sembra dargli un contentino nei minuti iniziali, durante la gita al Canyon, ma poi si corre subito a rifugiarsi nei meno costosi interni di una villetta familiare a Los Angeles. E, anche qui, il marchio Blumhouse si nota lontano un miglio: poche scene all’aperto, film quasi sempre al chiuso. Con l’unica eccezione della saga di The Purge. Eppure, se ricordate bene il primo capitolo, era interamente ambientato tra quattro mura.
Costringere McLean a girare il novanta per cento del suo film in una casetta borghese è come prendere un animale selvatico e tenerlo in gabbia. The Darkness è un film che soffre di claustrofobia. E non in senso positivo. È un film privo di aperture, privo di respiro.
Ricapitolando, McLean è andato a girare per la prima volta negli Stati Uniti, prestandosi a un film che
a) gli toglie la libertà creativa
b) lo obbliga ad attenersi a delle regole ferree sulla somministrazione degli spaventi
c) lo costringe a girare in interni, dopo una carriera passata a riprendere gli sconfinati paesaggi australiani.
Jason Blum sarà anche uno squalo, ma McLean non è tanto furbo.
E poi c’è il PG13, che in questo caso va a eliminare dallo stile di McLean l’unico tratto distintivo rimastogli: la violenza. The Darkness è un film dove scorrono due o tre gocce di sangue e dove non si fa male nessuno, dove non si ha l’impressione che ci sia seriamente qualcosa da temere per i personaggi.
L’unica scena davvero ben riuscita è l’attacco di un cane alla figlia maggiore, in camera, nel cuore della notte. Certo, anche quello salutato da un bello sbalzo di volume, ché il latrato della bestia non bastava ad assordarci, ci dovevano mettere pure gli archi.
Guarda caso, tuttavia, è il solo momento in cui sia riconoscibile il lavoro di McLean: scorre un po’ di sangue, c’è questo elemento selvatico che si introduce in un’elegante abitazione portando un po’ caos e si avverte un reale 02senso di urgenza, assente lungo tutto il film.
Io voglio bene a Greg McLean. Purtroppo non conosco la storia produttiva di questo film, ma i progetti su cui il regista australiano è a lavoro, nonché quelli già completati e in attesa di distribuzione, non contemplano la presenza di Jason Blum alla produzione. E vorrà pur dire qualcosa. Tra pochi giorni dovrebbe uscire The Belko Experiment, scritto nientemeno che da James Gunn e targato con una bella R. Allora potremo tutti fare finta che The Darkness non sia mai esistito o, al massimo, catalogarlo come un incidente di percorso.

10 commenti

  1. Blissard · ·

    Interessantissima analisi sulla Blumhouse e sulle strategie omologanti che guidano la sua filosofia cinematografica. Finchè funziona dal punto di vista meramente economico, difficile cambi qualcosa, nonostante questo The Darkness e The Veil abbiano cercato di allargare le maglie delle imposizioni produttive e abbiano provato a dare un po’ di respiro in più alle solitamente claustrofobiche locations.
    Di The Darkness mi è piaciuto il progressivo sfaldamento familiare, che oggettivamente fa molta più paura del bambino che parla col muro o delle impronte che imbrattano casa; il finale però grida vendetta al cielo, sembra buttato lì a casaccio.

    1. Ma quello è piaciuto anche a me, solo che è monco.
      La storia della ragazzina che soffre di bulimia non si sviluppa. Succede e muore lì, senza conseguenze.
      I problemi coniugali dei genitori idem.
      L’alcolismo della madre
      Il tradimento del padre.
      Tutti elementi validissimi, ma soffocati.
      Poteva essere un gran film.

  2. L’altro giorno ho rivisto i Goonies mi sa che è più horror di questo,il film del coccodrillo era quello con Dominic Purcel?peccato Wolf Creek (questo è un coltello!)faceva paura.se vuoi leggerermi per domenica ho fatto una review sun gioco ambientato a Salem(ormai sono meglio le trame dei videogiochi)
    Comunque abbasso il pg13

    1. Dove la trovo la tua recensione?

      1. Sullo Zinefilo di domenica dopo le 16 i videogiochi li scrivo io,ci sono anche i Gremlins:)

  3. Lorenzo · ·

    Non ho visto il film, ma fa sempre male vedere un regista che possiede una sua impronta inconfondibile soffocato dai canoni della casa di produzione di turno… Sperare in un film e poi scoprirlo deludente è sempre brutto, soprattutto quando il regista è quello di Wolf Creek e quando nel cast c’è Kevin Bacon! 😦

    1. Che di solito, con i nomi coinvolti, si dovrebbe andare sul sicuro…

  4. The Butcher · ·

    Avevo visto i lavori precedenti di McLean ma non sapevo di questo The Darkness. Mi dispiace molto per tutti i limiti che gli sono stati imposti. Da come l’hai descritto The Darkness sembra veramente una pellicola fatta da qualcun’altro.

  5. Giuseppe · ·

    La Blumhouse in effetti dimostra, quando le gira bene, di riuscire a tenere il piede in due scarpe, per così dire: purtroppo, leggo che The Darkness non è nella stessa “scarpa” R di Oculus, Hush, Sinister o Unfriended (e c’erano ottime premesse perché invece ci fosse) 😦 … Spero almeno che con James Gunn McLean si sia trovato più a suo agio.

    1. LO spero anche io. Ha un paio di film in uscita, ed entrambi sono categorizzati R e non vedono coinvolta la Blumhouse. Credo che sia rimasto scottato anche lui da questa esperienza…