Il prezzo del sale

IMG_0913

Usciamo fuori tema, ma usciamoci sul serio, forse per la prima volta, cercando di dire qualcosa che abbia un briciolo di senso su un film che, con l’horror e il cinema di genere non ha nulla a che spartire. Se il titolo del post vi sembra strano o poco attinente, è solo perché non sapete che il romanzo da cui Carol è stato tratto, in origine, si chiamava The Price of Salt. Patricia Highsmith, destinata a diventare famosa come autrice di thriller psicologici, ne scrisse una prima bozza quando non aveva neanche vent’anni e lavorava come impiegata stagionale in un grande magazzino. Un giorno, entrò in negozio una donna bionda: “Perhaps I noticed her because she was alone, or because a mink coat was a rarity, and because she was blondish and seemed to give off light. With the same thoughtful air, she purchased a doll, one of two or three I had shown her, and I wrote her name and address on the receipt, because the doll was to be delivered to an adjacent state. It was a routine transaction, the woman paid and departed. But I felt odd and swimmy in the head, near to fainting, yet at the same time uplifted, as if I had seen a vision. As usual, I went home after work to my apartment, where I lived alone. That evening I wrote out an idea, a plot, a story about the blondish and elegant woman in the fur coat. I wrote some eight pages in longhand in my then-current notebook or cahier.
Se avete visto il film in sala in questi giorni, non avrete fatto fatica a riconoscere la scena iniziale di Carol.
Ora, la storia editoriale del romanzo è interessante. Venne pubblicato per la prima volta nel ’52, ma non dall’abituale editore della Highsmith, che firmò anche la storia con lo pseudonimo di Claire Morgan. Ebbe una seconda edizione, l’anno successivo, un tascabile pulp da 25 centesimi. Ed era un pulp molto particolare, quello a cui apparteneva: si trattava di lesbian pulp (piccola curiosità: la Highsmith ebbe una storia con una delle più famose scrittrici di lesbian pulp, Marijane Meaker), un genere che vendeva bene e, spesso, rappresentava l’unica letteratura in cui le donne omosessuali si potessero, in parte, rispecchiare. Ebbe la sua importanza nel definire una certa identità di genere, insomma, ma è proprio il termine “in parte” che interessa a noi. The Price of Salt venne stampato in quella categoria di narrativa pulp, ma non le apparteneva del tutto.
Per quale motivo?
Il modo in cui i personaggi di Carol e Therese venivano descritti e, soprattutto, il finale per l’epoca rivoluzionario.

Carol-todd-haynes

Passa più di mezzo secolo e Todd Haynes, regista poliedrico, dotato di enorme talento e di un gusto per le immagini fuori del comune, decide di adattare il romanzo della Highsmith. E qui bisogna fare un piccolo passo indietro e tornare negli anni ’50, da un signore chiamato Douglas Sirk e autore di alcuni tra i più imponenti melodrammi hollywoodiani del periodo. Hayes omaggia direttamente Sirk in Lontano dal Paradiso, del 2002, riprendendo dal regista la sfida costante alle convenzioni sociali, mascherata da un stile compassato.
Con Carol, l’operazione è ancora più complessa e raffinata. Perché Carol è un melodramma spogliato dalla passionalità tipica del genere. Un melodramma raggelato, sempre trattenuto, che racconta una passione enorme, ma non la lascia sfogare (quasi) mai.

Se si è un buon regista (non è necessario essere un grande regista) le scelte narrative che si compiono, al momento di mettere in scena uno script, coincidono con quelle stilistiche. Lo abbiamo ripetuto tante volte, ma è sempre necessario un bel ripasso: la forma è sostanza. Quando sento: “una bella confezione, ma vuota e senz’anima”, mi viene voglia di mettere mano al set di granate che porto sempre con me nello zaino.
Non esistono belle confezioni vuote. Un film può essere ben realizzato a livello professionale e niente altro, ma non sarà mai “bello”. La bellezza è la personalità del regista. E, se il regista ha personalità, potrà sbagliare, non fare un film particolarmente riuscito, ma non farà mai un film “vuoto”.
Un esempio: La Teoria del Tutto, film pessimo, ma sotto ogni punto di vista possibile. Non si può parlare neanche di “bella confezione”, perché la bellezza non sta da nessuna parte e la confezione è, al massimo, pulita.
Se si applica a Carol la definizione di “bella confezione vuota” si dice una cosa falsa. Oggettivamente falsa. Solo che, per comprenderlo, è necessario informarsi e anche sapere ciò di cui si sta parlando.

carol_1-620x412
Sapete in che formato è girato Carol?
In 16mm. Sì, una sorta di ritorno alla preistoria. Considerate che, oggi, il 90% dei film che vedete in sala è girato in digitale, una percentuale più bassa è in 35mm (L’Episodio VII di Star Wars e Il Ponte delle Spie), mentre il 16 non lo usa più nessuno. Siamo abituati, infatti, a una definizione altissima delle immagini, e il 16 tende a sgranare. Se un tempo (neanche troppo lontano: ho lavorato così fino al 2008), quando giravi in pellicola, una volta ultimato il montaggio si ricostruiva la copia e poi, dopo varie fasi, si arrivava a tagliare il negativo, adesso il negativo si scannerizza. Con il 35mm, il DI (che sta per digital intermediate) permette un’altissima definizione delle immagini. Col 16mm questo non è possibile. Se avete visto Carol in sala, magari in una sala con schermo molto grande, avrete notato la presenza di una certa patina sull’immagine, la famosa grana. No, non era un errore. Era voluto e studiato, come ogni dettaglio del film.
Il direttore della fotografia, Edward Lachman, ha scelto, insieme ad Haynes, di usare un tipo “superato” di pellicola per poter riportare fedelmente l’atmosfera dell’epoca. E non solo: essendo il personaggio di Therese una fotografa, e avendo le fotografie un ruolo fondamentale all’interno della storia, l’idea di Lachman è stata quella di dare l’impressione di star guardando una fotografia anni ’50 in movimento. Inoltre, il 16mm, con tutte le sue “sporcature” conferisce, sempre secondo Lachman, un tocco di calore umano alle immagini, necessario per raccontare una storia d’amore così complessa e sofferta.
Questo per dire che, a riempirvi la bocca con la nozione errata di “bella confezione vuota” non ci fate una gran figuretta. Lo sforzo artistico alla base di Carol è gigantesco e va a giocare con le emozioni dello spettatore in modo molto sottile, quasi subliminale.
Proprio come fa il romanzo, modificato in tutta una serie di particolari secondari (la vicenda occupa un arco temporale più breve, Therese non è un’aspirante scenografa come nel libro, il personaggio di Carol è meno duro e spigoloso rispetto a quello messo su carta dalla Highsmith), ma rispettato nel suo spirito più profondo. E nel suo messaggio rivoluzionario.
Vi prego di interrompere la lettura se non avete visto il film, perché partono gli SPOILER A MANETTA (pure in maiuscolo).

1280x720-RQf

I lesbian pulp erano caratterizzati da finali tragici, con le due protagoniste che, dopo aver consumato la loro “passione proibita” si suicidavano o impazzivano o entrambe le cose. La Highsmith compie un gesto di importanza capitale. Ci mette un lieto fine. Che forse sarebbe più appropriato definire come finale aperto. Ma che almeno riusciva a dare a quella storia d’amore una speranza di felicità, una prospettiva per il futuro che non fosse follia e morte.
I cinici di quartiere (e per quartiere intendo la blogosfera italica) si sono lamentati degli ultimi dieci minuti di Carol. Hanno accusato il film di essere “politicamente corretto”. A parte il mio odio personale per questa espressione applicata alla come capita e alla bisogna, la lobby gay che vuole il trionfo dei buoni sentimenti non ci azzecca niente. Si tratta solo di rispettare un testo che, una sessantina di anni fa, quando gli omosessuali venivano spediti dallo psichiatra (nel migliore dei casi), ebbe il coraggio enorme di dire che esisteva un’altra strada, che si poteva rivendicare la propria identità e vivere la vita che si era scelta.
E mi dispiace, sinceramente, con tutto il cuore, per chi avrebbe desiderato un finale tragico come nei lesbian pulp a 25 centesimi l’uno, con Carol in manicomio e Therese suicida, magari. Mi dispiace per voi, perché non siete meglio di un Adinolfi a caso.
Tutto il resto è chiacchiericcio da osteria. Non è necessario mostrare una scena di sesso pornografica da svariati minuti. Non siamo ne La Vita di Adele. Carol è un melodramma hollywoodiano, narrato attraverso un vetro opaco. E quindi sì, è un film che procede con una certa lentezza, che è però solennità, che racconta un amore riservato e pudico, in perfetta aderenza alla sua ambientazione. È uno studio di personaggi, narrati attraverso la loro gestualità, più che attraverso i dialoghi. È un film di grande compostezza, ma non per questo è freddo, tutt’altro. I sentimenti ci sono, sono potentissimi ma sempre sussurrati, mai gridati, spesso appena suggeriti e richiedono uno sforzo da parte dello spettatore.
Se vi aspettavate qualcosa di più rumoroso, prego, su youporn c’è un sacco di roba che potrebbe fare al caso vostro.
Vi linko la bellissima recensione di Kara Lafayette.

30 commenti

  1. Bel post e vedrò di recuperare il film. Però volevo chiederti una cosa sull’espressione “una bella confezione, ma vuota e senz’anima”. Se una persona dovesse trovare che un film ha una fotografia e delle inquadrature e movimenti di camera fantastici ma poi il film non gli ha trasmesso una cippa (il che accade) che espressione dovrebbe usare per esprimere questa sua opinione? ;P

    1. Io credo che le emozioni siano tremendamente soggettive e che, quando cerchiamo di fare una critica seria a un film, dovrebbero restare, appunto, nel campo della soggettività.
      Carol può emozionare me e può lasciare freddo te, ma non è una confezione vuota, ha una sua anima, perché dietro c’è un autore che ha fatto determinate scelte in funzione di trasmettere qualcosa. Può riuscirci con alcuni, fallire con altri, non emozionerà mai tutti.
      Ti faccio un esempio: Birdman è un film magnifico, davvero enorme, ma io non sono riuscita ad amarlo. Non è un problema di Birdman, è un problema mio.
      Non andrei mai a dire in giro che è un film senz’anima, perché non è vero. Posso solo dire che a me non ha lasciato molto.
      Poi ci sono film scolastici che ci provano in tutti i modi a emozionare, ma proprio non ci riescono, perché diventano didascalici e forzati. Possiamo dire che si tratta di bei film?
      Io non credo.

  2. Grazie, è un’ottima risposta 🙂

  3. Valentina · ·

    Grazie.
    Grazie per aver dato voce ai miei pensieri di questi giorni. Ho già visto Carol 4 volte, tre in versione originale e una in italiano. E ogni volta colgo particolari e aspetti nuovi. Un film che fa pensare, commuovere e sperare.

    1. Figurati 😉
      Io non so se riuscirei a rivederlo, perché mi ha fatto male (motivi personali) ma è un film che dà davvero una speranza che di solito viene negata.
      Non si tratta di correttezza politica, ma di non voler per forza dare un finale tragico a una storia.

  4. Alberto · ·

    Splendido film, Haynes non delude mai, anche se Lontano dal paradiso per i miei gusti è inarrivabile. Mi hai anche chiarito la faccenda della grana della pellicola, che durante la visione mi aveva leggermente sconcertato 🙂 La storia d’amore Meaker-Highsmith è narrata magistralmente in questo libro http://sellerio.it/it/catalogo/Highsmith-Una-Storia-Amore-Anni-Cinquanta/Meaker/1259. Della Meaker a suo tempo avevo cercato qualche romanzo, ma credo che in italiano non esista niente.

    1. Stavo cercando anche io roba della Meaker in italiano, ma niente. Ripiegherò sull’inglese, come al solito.
      Sono contenta che anche tu reputi Carol uno splendido film.
      Dovrei sinceramente rivedere Lontano dal Paradiso per capire quale dei due mi sia piaciuto di più. Sono andata al cinema a vederlo, nel 2002, e poi l’ho rivisto una sola volta.

  5. elvezio · ·

    Ciao Lucia e grazie per il post, sto aspettando qualche proiezione in lingua originale qui a Milano ma è difficile, impossibile che Haynes possa non piacermi, non vedo l’ora.

    Bordone ha scritto alcuni pensieri piuttosto detestabili al riguardo su Internazionale elettronico, che purtroppo è ben diverso dalla versione cartacea, e siccome pescano nell’atteggiamento che detesti ho pensato di linkarti il tutto:

    http://www.internazionale.it/opinione/matteo-bordone/2016/01/12/carol-todd-haynes-recensione

    “In realtà – lo sappiamo tutti – non siamo negli anni cinquanta, il pubblico di Carol non è vestito con tinte pastello, nessuno, tra chi ha fatto il film o va a vederlo, crede nella sacralità dell’unione tra uomo e donna secondo le leggi di dio, e in sintesi una storia tra due donne oggi è una cosa normale.”

    (“lo sappiamo tutti” e “in realtà”, certo…)

    E:

    “Se Carol vuole essere un film politico, le lesbiche di tutto il mondo (e non solo loro) meritano qualcosa di più vivo e appassionante a rappresentarle.”

    Come al solito è il maschione che sa cosa meritano e cosa non meritano le lesbiche…

    1. Grazie!
      Qui a Roma lo proiettano in una sola sala in lingua, in tutta la città…
      Magari a Milano siete più fortunati.
      Avevo letto la recensione di Bordone e ci ero rimasta di stucco, perché non mi aspettavo un atteggiamento del genere. Significa proprio andare a colpire la specificità di un’opera, ciò che la rende tale, che è proprio il suo essere sempre trattenuta.
      Una storia tra due donne, oggi, non è una cosa “normale”. È proprio questo il punto che non viene compreso da Bordone e da tutti quelli che hanno visto in Carol un trionfo di politicamente corretto (che poi, in questo caso, non vuol dire nulla).
      A me sembra che, con recensioni di questo tipo, stiamo tornando dritti negli anni ’50.

  6. Ho avuto modo di vedere Carol, in lingua originale, qui. A Firenze. Sono rimasto molto colpito proprio dall’anima cinematografica della pellicola, cioè mi è parso, da profano, che ogni elemento “tecnico” volesse esser di sostegno alla conoscenza dei personaggi. Peraltro, essendo io convintissimo che il cinema sia : personaggi, storia, messaggio e che i sentimenti abbiano una loro funzione fondamentale, chiaramente guidati da competenze tecniche, ho trovato therese e carol davvero due grandissimi personaggi, come le altre due , quelle di quel film francese che non ami affatto e che io invece e la mia dolce metrà adoriamo tantissimo.
    Freddo?No, fa passare diversamente certe passioni. Io amo il melodramma spinto,che sfida anche il ridicolo, ma amo quel cinema, si dai: i film della Bier, tanto per citare un nome. Ma vedendo Carol speravo per loro, speravo che si potesse salvare un sentimento così potente, pulito, bello, che è l’amore. E credo che esso se ne sbatte con chi vai o no a letto o chi sia l’oggetto d’amore, quando avevo l’edicola veniva spesso un ometto assai anziano,lui e il suo cane. L’uomo era vedovo, i figlioli all’estero. Era da solo, aveva solo quel cane. E c’era tanta di quella tenerezza che quando il cane è morto,ho visto davvero una grande disperazione in quella persona. Gli vai a dire: ma che blateri, quello era solo un cane? No. Perché l’amore segue altre vie. Troppo nobili per molti di noi.
    Infine, scusa il commento lungo eh: il lieto fine.
    Ma che vi ha fatto? Vi ha rigato la macchina? Vi ha fregato l’uomo o la donna? Cosa? Perché ogni volta che un regista o scrittore decide di far finire bene una storia, arrivano i sbarbari di segrate a urlare: buonista! Termine che non significa nulla. Il cinema e la letteratura hanno questo di buono, parlano a te. Ti sono amici. Sanno che tu vivi una certa condizione e allora ti dicono: io so che andrà bene e ti regalo questo finale. Quando ero un occhialuto, per quanto splendido, ma single non per scelta, quanti film dove tizi non particolarmente da passarella, trovavano l’amore mi hanno dato serenità e gioia? Viva il lieto fine.
    O almeno usate anche il termine . cattivismo da happy hour per quei film dove si vuol per forza farci credere che l’umanità faccia schifo e vaffanculo di qui e vaffanculo di là.
    Io credo nell’amore e nel lieto fine ❤

    1. Infatti non è uno sfoggio di tecnica fine a se stessa, posto che esista la tecnica fine a se stessa (e anche qui, ci sarebbe da aprire un lungo discorso). A me sembra che oggi si tenda a dare molta più importanza alle emozioni urlate che a quelle sommesse.
      E io non capisco perché.
      Sul lieto fine, lo sai come la penso. Io non condanno a prescindere un film perché finisce bene o male. A me interessa che sia coerente con ciò che ho visto nei minuti precedenti. E a me sembra che Carol sia molto coerente

  7. Mi aveva colpito il trailer, la tua recensione mi conferma che è un film assai interessante, lo cerco nelle sale

    1. Sì, vederlo in sala, secondo me, aggiunge valore estetico all’esperienza.

  8. Un bellissimo film, veramente. La lentezza credo sia profondamente legata al senso che cela, sentimenti che si costruiscono attimo dopo attimo, senza realmente capire “subito” cosa siano. Quando pranzano per la prima volta Therese dice che non sa cosa sarà un giorno, di fatto ha difficoltà anche a sapere cosa ordinerà di lì a poco. Fa la stessa scelta di Carol ed è proprio Carol che le darà sempre più coraggio e sostegno, oltre a un certo turbamento, incomprensione, chiamiamola come vogliamo. Il bello è che una maturazione come questa, una migliore comprensione della propria identità, non può essere un fuoco d’artificio, ma necessariamente un movimento sinuoso e soprattutto lento. E il finale… va bene così, è solo la conseguenza più naturale per una ragazza che ha imparato a prendere le proprie decisioni a partire da ciò che desidera, vivere ed essere.

    1. Infatti una storia del genere, in un’epoca del genere, non è che può partire in quarta. Forse, non so, il pubblico voleva vederle a letto alla scena numero 3. Non lo capisco.
      Sul finale, è così giusto, così perfetto che sia Therese a prendere la decisione, ma soprattutto che sia Carol a lasciargliela, questa decisione, a rimettersi completamente a lei.
      Sono sfumature che se non sei attento, non cogli e in un cinema così didascalico come quello contemporaneo, vengono scambiate per debolezze.

  9. Bella recensione.
    Coincide con ciò che penso del film, e sono indispettita dai commenti e dalle critiche che ho letto in giro, sul fatto che manchi di passione.
    Io ho pianto e di solito non mi commuovo al cinema, proprio perche ha smosso cose personali.

    1. Grazie…
      Io di solito mi occupo di altre cose, ma tutti i commenti fuori luogo che ho letto in giro, mi hanno quasi forzato a scrivere di Carol.
      Sono contenta di non essere da sola a difenderlo.

  10. Giuseppe · ·

    Si, credo anch’io che il 16mm contribuisca a contestualizzare meglio la storia, facendocela “empatizzare” a dovere… A maggior ragione, non dispiacerebbe nemmeno a me una visione in lingua originale PRIMA di affrontare quello che con molta probabilità dev’essere il “piallante” (in termini di sfumature perse e dialoghi cambiati di senso, anche nel caso che almeno le scelte di doppiaggio siano azzeccate) adattamento italiano.

    1. Io purtroppo l’ho visto doppiato. Ma devo ammettere che, a parte le solite storture tipiche del nostro doppiaggio, non è stato fatto un brutto lavoro.
      La voce di Rooney Mara non mi convince del tutto, quelle della Blanchett e della Paulson sono buone. 🙂

  11. Che dire.. io mi sono innamorata subito di questo film perché amo le ambientazioni anni 50, e non mi ha affatto delusa.
    Non mi aspettavo scene di sesso estremo a “La vita di Adele”, e mi sono emozionata ad ogni tocco di mano sulla spalla o ad ogni sguardo tra Carol e Therese. Quei piccoli gesti di una complicità che non ha bisogno di altro per autoconfermarsi.

    1. Infatti è proprio la gestualità, contenuta ma complice, insieme al gioco di sguardi tra le due, a rendere il film unico.

  12. Ciò che scrivi su Carol aiuta ai non addetti ai lavoro a capire meglio alcune sensazioni che il film ti lascia addosso. Condivido tutto, all’uscita dalla sala di proiezione ti rimangono impressi gli sguardi delle protagoniste che quasi si sostituiscono ai dialoghi. Ma uno sguardo ti rimane dentro più a lungo. È un film a tratti lento è vero, e la storia d’amore non è urlata. Non ci siamo abituati ma è in linea con l’ambientazione storica. Grazie per la tua recensione..

    1. Grazie a te per il commento. Purtroppo agli Oscar ci ha detto male… però io credo che, col tempo, questo film sarà riconosciuto per il capolavoro che è

    2. *addetti ai lavori
      Perdono 🙂

      1. Figurati! La maledizione del refuso colpisce tutti

  13. il sesso ne La vita di Adele era carnale, crudo, “pornografico” non credo se si vuole dare un’accezione negativa a questa parola

    1. Io non ho trovato nulla di positivo ne La Vita di Adele.

      1. Io sì (e no, non mi riferisco solo alle scene di sesso)

  14. […] Non leggete in inglese? Poco male, anche qui da noi abbiamo persone di talento, senza nemmeno dover guardare alle testate importanti: possiamo fare un giro in Rete e magari troverete ispirazione nella gran, gran bella analisi di Antonia Conti. O, volendo avvicinarmi a una blogosfera che frequento più spesso, le accorate parole di Lucia. […]

  15. lizardinthebottle · ·

    Quando fu presentata si parlò di capolavoro. Un opera sublime quella di Haynes. Le due protagoniste eccellenti. Perfetta la “fotografia anni 50 in movimento”. La Blanchett poi proviene da un altro mondo, che donna!!! è un magnete che attrae ogni cosa. Nel personaggio della Mara c’è un grande fuoco. Nascosto, ma si percepisce. Non ne sapevo nulla di Lesbian Pulp. Interessante. “Gli ultimi dieci minuti”…una poema cosmico. In quest’opera vi è un qualcosa di “Alto”.
    “Melodramma raggelato” proprio così! Ottimo post Lucia, come sempre!

    P.S. adoro le mani della Blanchett (no, non sono un feticista)