E che sarà mai

attends HBO's

 Un paio di premesse:
1) Questa è la prima volta in cui chiuderò i commenti preventivamente. Sono antidemocratica? Sì, potete pensare ciò che preferite. Ma vorrei vi fosse chiaro il significato di “prima volta in quattro anni di blogging”, che è una faccenda abbastanza inaudita. Ho avuto a che fare con i fan solo in un paio di situazioni, in questi quattro anni. E in entrambi i casi è finita nel sangue (virtuale, ovviamente). I fan sono, per loro stessa natura, ottusi e ciechi. E non esistono, in questo particolare momento storico, fan più ottusi e ciechi di quelli di Martin. Quindi, se non posso decidere chi far entrare a casa mia, posso almeno scegliere se dare ai fan il permesso di insultarmi o no.

2) Leggevo Martin regolarmente. Mi sono fermata dopo A Feast for Crowns per sopraggiunta noia e a causa della fastidiosa impressione che lo scrittore stesse allungando il brodo all’inverosimile. Per quanto riguarda la serie tv, la seguo da sempre e credo che sia un ottimo prodotto. Ora sta scadendo in maniera imbarazzante, ma non posso rinnegare di averla apprezzata, come del resto ho apprezzato i romanzi.
Questo per dire che non sono un’accanita detrattrice di Martin o della serie HBO. Sto solo cercando di affrontare con lucidità e senza preconcetti un argomento che mi sta molto a cuore.
Anche per questo, cercherò di essere chiara ai limiti del didascalico. Sarà un post (spero) a prova di idiota.

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È notizia piuttosto recente (ma, si sa, le polemiche hanno la memoria corta e sono pronte a essere sostituite con polemiche sempre nuove) che Joss Whedon è stato oggetto dello strano fenomeno del bullismo progressista, a causa del modo in cui il personaggio di Vedova Nera viene messo in scena nel secondo film degli Avengers. Il problema verteva tutto sulla sterilizzazione di Natasha da ragazzina. Una faccenda incresciosa, secondo i bulli progressisti, che hanno una deformazione del pensiero per cui se non sei progressista esattamente come lo sono loro, devi essere spazzato via dalla faccia della terra. Whedon ha chiuso il suo account di twitter, in seguito agli attacchi feroci che ha dovuto subire.
Poche settimane dopo, è deflagrata una seconda polemica, quella su Game of Thrones e il famigerato stupro di Sansa Stark nel sesto episodio della quinta stagione. Anche lì sono divampati vari flame in giro per la rete e se ne è discusso un po’ dappertutto. Ma la reazione generale è stata quella del: “E che sarà mai”. E io ho sinceramente pensato che se Natasha fosse stata violentata invece che sterilizzata, la cosa non avrebbe suscitato lo stesso scalpore e tutti se ne sarebbero stati buoni e tranquilli.
Parlo di rape culture, se ancora non fosse evidente.
Adesso, la serie della HBO (ai libri ci arriviamo poi), questa rape culture la porta avanti con serenità da cinque stagioni. Dapprima in maniera sottile e strisciante e in seguito con maggiori faccia tosta e arroganza.
Abbiate la pazienza di leggere questo articolo. Se non avete avuto pazienza, io mi limito ad agevolarvi uno stralcio di un’intervista al mio Neil Marshall, che racconta la sua esperienza nel dirigere (era il 2012) l’episodio Blackwater: “È stato davvero surreale. Non avevo mai fatto nulla di simile nei miei film. La parte più strana è stata il momento in cui uno degli executive della rete si è piegato sulla mia spalla e mi ha detto: “Puoi riprendere un nudo frontale, lo sai! Questa è televisione, puoi fare quello che ti pare. E devi farlo. Ho bisogno che tu lo faccia”. L’executive mi ha preso da parte e ha aggiunto: “Io rappresento la parte guardona del pubblico. Tutti i miei colleghi si occupano del settore drammatico, ma io rappresento i voyeur e ti dico che voglio un nudo frontale femminile in questa scena, quindi vai avanti e giralo”.
Puntuale come una cartella esattoriale, il full frontal a uso guardoni è arrivato, anche in un episodio dove non ci azzeccava niente e non aveva alcuna giustificazione narrativa.
Qualche stagione dopo, Cersei Lannister viene stuprata dal fratello Jamie davanti al cadavere ancora fresco del figlio. Le reazioni del pubblico sono state, in quel caso, piuttosto sconcertanti: si sono levati gli scudi perché il telefilm non era fedele al libro. E perché al povero Jamie (personaggio positivo) non veniva offerta la possibilità di redimersi.
La violenza inferta a Cersei? E che sarà mai! E poi la stronza se lo merita, no?
Ancora prima, stagione numero uno, Daenerys subisce violenza dal marito sul talamo nuziale. Il giorno dopo è lì che apprende le arti amatorie da una schiava per soddisfarlo a dovere. Lo stupro? E che sarà mai? Tanto Daenerys e Drogo poi si innamorano, no? E Drogo è anche un gran figo. Quale donna non vorrebbe essere presa con la foza da Jason Momoa?
E così si arriva alla ormai famigerata aggressione sessuale ai danni di Sansa, che forse è stata la classica goccia, il momento in cui ci si è resi conto che la serie seguiva uno schema ben preciso, che per comodità potremmo anche definire “just add rape”. 

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I fan di Martin scrittore (già da parte loro incazzati come mufloni perché la serie non segue i sacri testi alla lettera, dialogo per dialogo, virgola per virgola) dicono che quello degli stupri è un problema tutto televisivo e inerente alla HBO.
In realtà, le cose sono leggermente più inquietanti di così e questo post spiega la questione riportando cifre incontrovertibili.
Il solo atto di violenza sessuale nei confronti di una donna del tutto assente nei libri e presente invece sul piccolo schermo è quello di Jamie ai danni della sorella. Perché anche la faccenda di Sansa ha un suo corrispettivo nel libro, ma accade a un personaggio eliminato dagli sceneggiatori di GoT per carità di patria, dato che il caro George, sempre in base al principio dello stiracchiamento tendente all’infinito, ha iniziato ad aggiungere caratteri inutili su caratteri inutili. E in tv si tende, com’è ovvio, a economizzare.
Daenerys, che i fan vi diranno essere stata violentata solo nella serie, in realtà è obbligata da Drogo a fare sesso non consensuale anche nel romanzo. E, a casa mia, il sesso non consensuale si chiama stupro.

Sapete però qual è la cosa buffa e tragica allo stesso tempo? Fino a quando non ho letto quelle cifre, non mi sono resa conto della gravità della cosa. Anche io sono caduta, con tutte le scarpe, nella trappola del “che sarà mai”. E no, questo non vuol dire che l’incidenza impressionante di stupri nei libri di Martin (e nella serie tv) sia un dato insignificante. Vuol dire che la rape culture è così tanto radicata nel nostro dna da non farci registrare come un problema un’enormità del genere, almeno fino a quando qualcuno non ce la fa notare a forza.
Sempre per essere il più didascalici e a prova di idiota possibili, non è mia intenzione affermare che Martin, gli sceneggiatori della HBO e chiunque abbia voce in capitolo nella messa in scena degli episodi siano dei potenziali stupratori seriali o dei misogini. Non è neanche un problema politico, di femminismo, maschilismo o qualsiasi ismo vi venga in mente.
Si tratta di un problema di natura culturale, di un sentimento strisciante che ci fa accettare lo stupro come espediente narrativo di bassa lega, presente in dosi massicce in una serie tra le più seguite al mondo e in alcuni best seller da milioni di copie vendute, senza battere ciglio.
È questo che ci deve allarmare. O ci dovrebbe allarmare. La nostra supina accettazione. Il nostro “e che sarà mai”.

A questo punto, i fan della saga (televisiva o libresca, non ha importanza) sollevano una serie di ridicole obiezioni.
La prima è che Martin si è ispirato al medio evo, momento storico in cui lo stupro era all’ordine del giorno. Il che è una tale sciocchezza che non ci sarebbe bisogno neppure di confutarla, ma per l’a prova di idiota di cui sopra, tocca farlo comunque: ASoIaF e GoT non sono ambientati nel mondo reale. Ci sono i draghi, c’è la magia, ci sono i morti viventi. A me risulta che tutti questi siano elementi fantasy e che le saghe siano entrambe ascrivibili al fantasy. L’accuratezza storica, buttata nel cesso in molti aspetti di entrambi i prodotti, viene chiamata in causa solo per quello che riguarda la violenza estrema e gli stupri.
Quando si fa notare al fan di turno che poi non è che a Martin e alla HBO interessi più di tanto ricostruire fedelmente il medio evo, com’è illustrato in questo post, la sua risposta è: “grazie al cazzo, è un fantasy”.
Scusa un attimo, amico fan, ma non avevi detto quattro secondi e mezzo fa che gli stupri sono giustificati dall’accuratezza storiografica di una storia coi draghi?
Evidentemente no.
Quindi, smontata la prima scusa, parte la seconda che si basa sul noto assunto: “tanto è fentesi”.
Le contraddizioni non li mettono affatto in difficoltà, per niente.
Tanto è fentesi suona più o meno come che sarà mai. Essendo vicende svincolate del tutto dalla realtà (a seconda di cosa faccia più o meno alla bisogna), allora ci si può permettere di abusare delle donne in totale libertà e allegrezza. Altrimenti sei moralista. O politicamente corretto.
Sì, la terza giustificazione addotta è quella del moralismo pretestuoso.
No, amico fan, sei molto distante dal nocciolo della questione, perché lo stupro non è un discorso legato alla morale.

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Come ben dovrebbe sapere chi mi legge da qualche tempo, ho visto e apprezzato, nel corso della mia vita, molti rape & revenge degli anni ’70. Quindi non sono contraria per principio a che uno stupro venga messo in scena sullo schermo o narrato tra le pagine di un libro.
Non parliamo di censurare o proibire. Parliamo del come, non del  cosa.
Quando guardo la sequenza insostenibile di I Spit on Your Grave, quei quasi venti minuti senza musica, in cui la protagonista Jennifer subisce un vero e proprio calvario, io mi sento male. E non solo io. Se si esclude una minoranza di pervertiti da galera, la reazione di chiunque assista a quella sequenza è di totale disagio, disgusto, orrore, pena per la vittima, identificazione con la vittima. Mai e poi mai passa il messaggio che si tratti di una cosa assolutamente normale.
Ecco che ci siamo arrivati, dopo tante parole: la parola chiave, nel caso di ASoIaF e di GoT, è normalizzazione. Lo stupro diventa una pratica che passa inosservata, che non ha alcun tipo di funzione narrativa se non quella di dare spessore a chi la violenza la perpetra, non a chi la subisce.
È un espediente della trama che serve a farci conoscere meglio i personaggi maschili. L’episodio della serie successivo a quello incriminato, neanche a farlo apposta, mette in scena un ennesimo tentato stupro (di gruppo) ai danni di Gilly, sulla barriera.
Ovviamente, l’aggressione ha l’unica utilità di farla salvare fortunosamente da Sam. E subito dopo, i due si accoppiano perché mi pare logico che qualsiasi donna, dopo aver evitato per un soffio uno stupro, ha come prima reazione quella di concedersi con entusiasmo al suo salvatore. Ma che sarà mai, tanto è fentesi storicamente accurato, no?
Io credo che ogni elemento scelto da un autore per la propria storia debba avere un motivo per essere inserito. A partire da cose all’apparenza poco significative come le scarpe che un determinato personaggio può indossare, fino ad arrivare a delle azioni gravide di conseguenze e strascichi come può essere il subire uno stupro.
Se questo tipo di lavoro non viene fatto dallo scrittore o sceneggiatore, ci si trova di fronte a un esempio di scrittura pigra. E quindi di pessima scrittura.
Il fatto che la pessima scrittura abbia bisogno di un numero spropositato di donne violentate per portare avanti una trama, dovrebbe far riflettere su quanto poco importi, in generale, di un dramma globale come la violenza sessuale.
Lo vedete anche voi, spero, che non si tratta di moralismo e non si tratta di non voler edulcorare alcunché. Si tratta di rilevanza. Si tratta di non normalizzare, di non far passare un’atrocità che quotidianamente miete centinaia di vittime come una faccenduola priva di importanza. Si tratta, in fin dei conti, di non cedere alla rape culture, di non prestarle il fianco, di non diventare suoi inconsapevoli alfieri.
Sì, forse si tratta, semplicemente, di coscienza personale. O di integrità, fate voi.

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Prima di terminare, vi racconto una storia: ho scritto anche io di un tentato stupro ne Il Posto delle Onde. Mi serviva scriverlo perché avevo bisogno di dire alcune cose su Alice, sul suo rapporto col suo corpo e quella violenza sventata per un pelo, era un avvenimento che ce la faceva conoscere meglio.
Più avanti, nel romanzo, c’era una scena simile, solo che lo stupro veniva portato a compimento.
Ho tagliato completamente la scena. Non serviva a nessuno, non serviva ad Alice o a River, non aveva una funzione narrativa che fosse una.
Serviva solo a me, per liberarmi di alcune cose che mi porto dietro da anni.
Ma non serviva a voi che leggete ed era inutile per i miei personaggi.
Ho preso e ho buttato nel cestino due interi capitoli.
Ed è stata una delle scelte narrative più felici della mia breve carriera.
Era ridondante.
Esattamente come il millesimo stupro presente in GoT o in ASoIaF.
E, se questo ragionamento posso farlo io che mi cagano in quattro, se mi sento responsabile io di fronte ai miei pochissimi lettori, a maggior ragione dovrebbero sentirsi responsabili autori che parlano a milioni di persone.
E che gli comunicano la normalità della violenza sessuale.
Che sarà mai, giusto?
Io credo che tutti noi, in quanto lettori e spettatori, ci meritiamo di meglio, che dobbiamo chiedere di meglio e che non dobbiamo accontentarci e accettare certe cose. Credo che debba partire proprio da noi, dal pubblico, il rifiuto della rape culture. Che dobbiamo smettere di applaudire alla cattiva scrittura, idolatrare meno e riflettere un po’ di più. E, per farlo, è necessario ammettere che anche le serie e i libri che ci piacciono possono incorrere in questi errori madornali.
Sperando che si tratti solo di errori e, in quanto tali, riparabili.

Un commento

  1. […] anche l’ultima Stark non massacrata avrà la sua bella dose di violenza in stile Martin (se n’è discusso tanto, nelle ultime settimane, […]