American Horror Story – Freak Show

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 Si dice sempre che le corse si vedono all’arrivo. Ed è il motivo per cui mi riesce molto difficile commentare serie tv prima della loro conclusione. Con American Horror Story e il suo meccanismo autoconclusivo, viene naturale giudicare ogni stagione come una cosa a sé stante. Sebbene il cast continui a essere più o meno lo stesso, e il prodotto mantenga alcune caratteristiche fisse, presenti a partire da Murder House, si ricomincia sempre da zero, con una nuova trama, dei nuovi personaggi e una nuova ambientazione.

Ecco, forse non è più il caso, riferendosi ad American Horror Story (da qui in poi AHS), di parlare di trama. La trama è sempre mancata. Questa serie si presenta, sin dagli albori, come un accumulo di situazioni legate al luogo in cui le vicende (sempre frammentarie) si svolgono.
È una impostazione che può piacere o meno. Ma di cui va preso definitivamente atto. Nonostante il titolo, AHS non racconta una storia. Piuttosto descrive le mille diramazioni di una mitologia, quella dell’horror americano, da cui ogni volta estrae un macro elemento da scomporre quanto e come vogliono gli autori.
Il macro elemento utilizzato in questo caso è lo spettacolo circense, da sempre sfruttato e anzi abusato nel cinema, sia esso fantastico o realista. Solo che AHS non ci parla di clown, di domatori di leoni o di coraggiosi acrobati e trapezisti. AHS ci parla dei fenomeni da baraccone. Quei freaks che solo in pochissimi hanno avuto il coraggio di portare sullo schermo.
A parte Tod Browining, che in queste circostanze si nomina sempre, ed è doveroso farlo, col freak show si è cimentata, a suo modo, la Troma e, incrociandolo appena di striscio, un autore come Jodorowsky con Santa Sangre. Sì, poi c’è il contributo di Lynch al tema, non solo con The Elephant Man, ma in quasi ogni aspetto della sua filmografia.  E anche la televisione ha accennato l’argomento con il bellissimo e sfortunato Carnivale, durato troppo poco.
fotonoticia_20141007165340_800Ma una serie televisiva, di stampo poi totalmente commerciale, senza intenti d’autore, patinata quanto basta, ruffiana e accattivante, priva anche del fattore demenza che può vantare la Troma, non si era mai spinta così oltre.
Non sarà la migliore stagione della serie (la palma rimane salda nelle mani di Asylum), ma è di sicuro quella più violenta, quella con più morti, quasi sempre dolorose e inaspettate, quella dove lo splatter esplode senza curarsi di niente e di nessuno.
È anche la stagione più caotica. Ma attenzione: caotica non vuol dire sconclusionata. Coven era sconclusionata, perché ancora tentava di raccontare una storia, non ci riusciva e finiva per perdersi. E aveva anche qualche problemino nel mischiare i registri, deragliando spesso in farsa.
Freak Show (e lo ripeto, è una cosa che può non piacere, ma si tratta di una scelta, non di un errore) rinuncia a qualsiasi filo conduttore, se si esclude il tendone del circo e l’avvicendarsi di personaggi bizzarri, e si lancia in un accumulo barocco di avvenimenti, dove sarebbe folle andare a cercare un nucleo narrativo centrale.

Ciò non significa che non esista invece un nucleo contenutistico, che risiede nel concetto di deformità. Ed è nell’indugiare su ogni tipo di deformità, senza voler però fare a tutti i costi l’apologia del “diverso” perseguitato e quindi per forza buono e puro, che AHS Freak Show si pone come la stagione più oltraggiosa di tutta la serie, nonché come unico erede del Freaks del 1932, di cui pare che Murphy abbia del tutto assorbito il senso, per riproporlo adeguandolo ai tempi e ai gusti attuali, ovvero frullato e ripassato attraverso il tritacarne di un’ottantina d’anni di cultura popolare americana.
Quasi sempre cultura horror.

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Sì, molto spesso i freaks guidati da Elsa Mars (Jessica Lange, per cui ormai non servono neanche più aggettivi superlativi) sono osteggiati dai cosiddetti normali e sì, può succedere che siano innocenti e ingiustamente trattati come criminali. Ma non sono ritratti mai come vittime indifese. Sono piuttosto una famiglia estremamente unita che applica un rigidissimo codice di giustizia, un sistema chiuso che non accetta intrusioni e che si fa scudo della profonda fratellanza che li lega contro un mondo incapace di accettarli, o considerarli anche solo esseri umani al pari degli altri.
Come non era intenzione di Browning suscitare nello spettatore alcuna pietà, così non è intenzione di Murphy e degli sceneggiatori della serie. Ogni freak è ritratto con i suoi pregi e difetti, con le sue meschinità e le sue paure, con i suoi slanci di generosità e altruismo e le piccole grettezze quotidiane che sono parte integrante della nostra specie.
Come nel film di Browning, gran parte del cast è composto da attori con qualche tipo di deformazione. E, se all’inizio il sospetto forte era che si trattasse semplicemente di una nota di colore, messa lì per fare numero, col procedere degli episodi. e soprattutto a partire dalla doppia puntata di Halloween, Edward Mordrake, i vari personaggi che affollano il tendone cominciano ad acquisire un proprio spessore, una propria individualità. Mai AHS è stato uno spettacolo così corale e certe vette di drammaticità le abbiamo viste solo in Asylum.

Ma la deformità non si applica solo ai freaks: ogni personaggio è deforme, anche quelli apparentemente normali. Che sia una deformità fisica o mentale poco importa. Sono tutti disadattati, tutti socialmente alienati. O perché folli, o perché omosessuali, o perché inadatti a vivere. Unirsi al freak show di Elsa Mars significa accettare di essere emarginati, e portare questa emarginazione come una bandiera. Ma c’è chi è così fortunato da poter nascondere il mostro che si porta dentro dietro a una patina di bellezza e perfezione (Maggie, interpretata da Emma Roberts, la stessa Elsa Mars, le cui gambe mutilate sono sostituite da delle protesi di legno) e c’è chi appare, senza via d’uscita, agli occhi del prossimo come uno scherzo della natura, un insulto al corpo umano, così come siamo abituati a concepirlo.

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Murphy questi corpi che non corrispondono al canone di bellezza comunemente accettato, ce li sbatte in faccia, ci fa soffrire con loro, ci fa temere per la loro sorte, ce li fa amare per 13 episodi. E si spinge forse dove neanche Browning era arrivato, pagando il debito enorme contratto nei confronti di Freaks con varie scene prese di peso dal film del ’32. Ma il debito è con tutta la filmografia di Browning, ossessionato da sempre da ogni forma di mutilazione e si sofferenza fisica, sin da quando obbligava Lon Chaney a sottoporsi a un vero e proprio calvario per simulare arti mancanti, gobbe e qualunque tipo di spettacolare deformità la sua mente riuscisse a concepire.
Eppure non è solo Browning, ma tutto il cinema degli anni ’20 e ’30 la fonte di ispirazione primaria di Freak Show: dal filmato muto dell’orgia tra i Freaks, al primitivo snuff in cui Elsa perde le gambe, fino ad arrivare a tutto un sistema di rimandi e citazioni estetiche e stilistiche all’espressionismo, o al fatto che le due gemelle siamesi interpretate da Sarah Paulson si esprimano sciorinando titoli di film e nomi di attrici uno dietro l’altro. Per non parlare poi del desiderio, che sfiora la psicosi, di Elsa Mars di diventare una star del cinema.
Peccato che poi riesca a realizzare i propri sogni di gloria solo nel piccolo schermo, con un gustoso senso dell’ironia.

Se consideriamo poi che la serie è ambientata negli anni ’50, ovvero quando il fenomeno dei freak show si andava esaurendo, notiamo come questa stagione di AHS sia sprofondata in un’atmosfera di decadenza e disfacimento. Tra un clown assassino, un serial killer infantile e viziato, un avido ladro di corpi da vendere ai musei e un’intera società che li rifiuta, i nostri freaks vivono gli ultimi sussulti di un mondo destinato a scomparire, un mondo che arriverà a negargli anche il loro ultimo rifugio, quel tendone da circo, quell’unico luogo che possono ancora chiamare casa.
Il finale, visto da questa prospettiva, assume una valenza ancora più tetra e malinconica di come appaia. Perché, nonostante la parziale pacificazione, nonostante quella pace trovata nella morte, quel ricominciare a mettere in scena la propria deformità davanti a un pubblico pagante in un al di là fatto a uso e consumo di un artista da circo, lo spettatore sa che un’epoca è tramontata per sempre.
Freak Show è sicuramente passibile di varie critiche. È pura anarchia visiva realizzata per il piccolo schermo, che di anarchico ha veramente poco. Si può rimproverare agli autori la mancanza totale di una trama, la scarsa attenzione per narrare una storia lineare. Sono tutti rimproveri leciti, per carità. Ed è vero che Asylum possedeva una coerenza mai più tornata ad affacciarsi dalle parti di AHS. Eppure, forse, è la stagione più sincera, quella che rispecchia meglio l’essenza primitiva dell’orrore. Difettosa, certo, ridondante quanto volete, anche sconnessa e sfilacciata. Aggiungete voi lati negativi a vostro piacimento. Eppure è talmente densa, così potente e vitale che le si perdona tutto. Per quanto mi riguarda, Murphy potrebbe continuare così all’infinito e non ne avrei mai abbastanza.
Al prossimo anno.
Musica!

13 commenti

  1. Santa Sagre e veramente un grande film,Elephant Man c’è l’ho in dvd,Il film di Lon Chaney coi Freaks è forse Lo straniero?
    American Horror Story Asylum ho visto qualche episodio lo trovo troppo patinato,un minestrone con troppi ingredienti non mi è piaciuto per nulla(parere personale non la verità assoluta).
    Un saluto Lucia.

    1. AHS è un prodotto patinatissimo, nessun dubbio a riguardo. E può piacere, come non piacere. In questo caso l’oggettività va a farsi benedire. Con AHS conta molto il sentire personale e se si vuole o meno stare al gioco degli autori.
      Un saluto anche a te

  2. giudappeso · ·

    Freakshow è la prima stagione che ho seguito in streaming senza aspettare che arrivasse su Sky, stavolta il tema mi affascinava troppo per attendere che si decidessero a trasmetterla. Mi è piaciuta davvero molto, soprattutto alcuni personaggi. Anzi, devo dare atto agli autori che nel crearli sono bravissimi, a tratti geniali. Sono d’accordo con le tue conclusioni sulla trama assente che non è un vero problema, perché qui il gioco è nelle mani degli autori attraverso i personaggi, non della storia. Un modo non sbagliato di scrivere, se ci pensiamo, anzi a suo modo logico: io ho questi elementi straordinari e lascio che siano se stessi, poi saranno loro a incastrarsi nell’arazzo. È il fascino di AHS in tutte le sue stagioni, un impianto teatrale che – secondo me – ha anche qualcosa della Commedia dell’Arte con le sue maschere, con buona pace di chi accusa la Lange di fare sempre lo stesso personaggio tormentato o la Paulson di essere la costante anima in pena. Io anzi ne apprezzo anche questa filosofia, giocare con le maschere e gli archetipi creando sempre qualcosa di nuovo.

    1. Il problema è che, per mettere su 13 episodi privi di un vero e proprio filo conduttore, bisogna avere le palle, altrimenti fai un pastrocchio indigeribile. E il rischio, con AHS, è sempre dietro l’angolo. Io ammiro molto come Murphy e compagnia bella riescono a muoversi sempre sul crinale della cazzata senza mai superarlo davvero. E un po’ li invidio anche, devo ammetterlo.

  3. Giuseppe · ·

    Beh, considerando il fatto che è di American Horror Story che stiamo parlando, con la sua iconoclasta capacità di rinnovarsi radicalmente di stagione in stagione, mi viene da pensare che la totale mancanza di una trama (al di là del filo conduttore della deformità fisica e psichica, rappresentata coraggiosamente e senza ipocrisie) in Freak Show possa essere una scelta voluta. Per concentrarsi al meglio sui personaggi probabilmente qui non serviva, a differenza di Asylum, un’impostazione di coerenza cristallina… serviva l’orrore primitivo, appunto, che può essere anche fatto di singole storie magari nemmeno legate fra di loro.

  4. Ho seguito la prima stagione di American horror story, Murder House, e devo dire che dopo un buon inizio con il proseguo degli episodi rimanevo sempre più deluso. Dopo i due episodi di Halloween la serie mi sembra si sia persa completamente, arrivando nel finale quasi al ridicolo, con un accumulo esagerato di temi tipici del genere: il medico pazzo, il serial killer, l’anticristo, Rosemary’s baby, il figlio deforme incatenato in soffitta, i fantasmi che non sanno di essere fantasmi ecc. ecc. Senza dimenticare la serie infinite di inconcludenze dallo psichiatra che non si accorge che quasi tutti i suoi pazienti sono dei fantasmi (a proposito, come faceva a farsi pagare?, me lo sono sempre chiesto), al far richiudere una donna incinta al sesto mese in un ospedale psichiatrico e imbottirla di farmaci.
    Dopo la prima stagione ho smesso di guardare la serie, Può darsi che poi sia migliorate nelle stagione successive, ma forse 12-13 episodi sono davvero troppi per mantenere la tensione e un senso di coerenza in un racconto horror.
    Saluti,

    Maybe

  5. Ho provato a seguire qualche puntata di un paio di stagioni, ma niente, troppo leccata la confezione e gratuite le diramazioni delle (cosìdette) trame. Peccato perchè Jessica Lange è monumentale.

  6. Ci provo tutte le volte, ma alla fine crollo sotto il peso della noia. L’unica stagione che non ho abbandonato è stata la terza, ma alla fine mi son pentito di non averlo fatto. Non dico che nel complesso non abbia nulla di buono, intendiamoci, ma è molto lontana dalle mie corde.

  7. Perdonate il ritardo nella risposta, ma ho avuto giornatine del cavolo…
    Dunque, io capisco tutte le vostre obiezioni, perché sono vere: AHS è una serie patinata ed è una serie che procede per accumulo.
    È un modo di narrare che può essere respingente come anche esaltante. A me piace, ma mi piace solo come lo fa Murphy ché in mano ad altri verrebbe un pastrocchio.
    ma posso comprendere perfettamente perché per molti è comunque un pastrocchio

  8. Aspettavo la fine della stagione per farmi il solito binge-watching, col dubbio se dopo Coven continuasse la parabola discendente o se invece iniziasse la risalita. Quindi la seconda che ho detto. E so che godrò parecchio visto che il circo mi comunica disagio esistenziale a prescindere.

    1. Io sono tra quelli che Coven lo hanno difeso. Ma questo è molto, molto meglio. E sì, l’ambientazione circense fa il suo.

  9. Boh, non so, sono fermo alla 9 e negli ultimi episodi ritmi e curiosità sono calati parecchio: così come succedeva in Coven mi sembra che la corazzata Murphy/Falchuck inizi di gran potenza e poi via via si lasci andare perdendosi man mano che si avvicina la conclusione, come se alla serie bastasse l’Idea e il trio delle meraviglie Lange/Bates/Basset mentre il resto vive di inerzia.

    Se ci fossero meno episodi magari potrebbero contenere meglio gli ottimi spunti, senza per forza il bisogno di adoperare tutti e per forza tutti i cliché dell’horror americano ma utilizzando meglio quelli principali.

    Boh, peccato, mi lascia abbastanza abbattuto e amareggiato.

    1. C’è un momento di stanca a metá stagione, ma gli ultimi episodi alzano molto il ritmo, diventano anche imprevedibili. Poi sì, Asylum era un’altra cosa… purtroppo.