My Amityville Horror

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Regia – Eric Walter (2012)

Quella di Amityville è forse la storia di infestazione più famosa al mondo. Undici film, più un dodicesimo in arrivo, un’infinità di libri, tra quelli a sostegno di quanto sostenuto dalla famiglia Lutz e quelli che invece miravano a smontare il caso soprannaturale e a dimostrare che si era trattato di una gigantesca truffa. Se il romanzo di Jay Anson, pubblicato nel 1977, diede ufficialmente inizio allo spettacolo, fu sicuramente il film del ’79, diretto da Stuart Rosenberg, a far diventare la villetta al numero 112 di Ocean Avenue un’icona della cultura popolare anni ’80.
E tuttavia, ciò che è successo veramente in quella casa resta un mistero. Soprattutto per la sovrapposizione tra realtà e fiction che ha contraddistinto lo svolgersi degli avvenimenti dall’uscita del libro a oggi.
Nel 2012, Daniel Lutz, all’epoca dei fatti undicenne, decide di raccontare la sua versione della storia e nasce questo interessante documentario. Che è forse il film più spaventoso mai girato su Amityville. Lo è per una serie di motivi di cui ci occuperemo, motivi non necessariamente soprannaturali, ma non per questo meno spaventosi. Ma, prima di addentrarci negli incubi di Daniel Lutz, facciamo un ripassino insieme.

Daniel Lutz

Daniel Lutz

La mattina del 13 novembre 1974, un ragazzo di 23 anni, Ronald DeFeo Jr. entra in un bar di Amityville (un sobborgo di Long Island) che era solito frequentare, gridando che qualcuno ha sparato alla sua famiglia.
Il piccolo gruppo di persone che si reca a casa sua, per verificare quanto dichiarato dal ragazzo, trova sei persone morte: i genitori di Ronald e i suoi quattro fratelli. Tutti uccisi a colpi di fucile.
Più tardi, DeFeo confesserà di essere il colpevole.
L’anno successivo, i coniugi Kathy e George Lutz acquistano la casa a un prezzo stracciato (sì, proprio come in ogni horror che si rispetti). Sapevano che era stata teatro di un omicidio plurimo, ma costava poco, era una villetta spaziosa, aveva la piscina e anche una rimessa per le barche.
Si trasferiscono lì con tre bambini, figli del precedente matrimonio di Kathy e adottati legalmente da George.
Resistono nella casa appena 28 giorni.
Odori strani, punti freddi, apparizioni alle finestre, la porta del garage che si apre e chiude da sola, sedie a dondolo animate di vita propria, sciami di mosche in pieno inverno, la più piccola dei Lutz che dichiara di avere un amico immaginario con la faccia di un maiale e gli occhi rossi e persino una melma verdastra sui pavimenti e le pareti, che George Lutz battezzerà “vomito di poltergeist”.
La famiglia lascia l’abitazione nel gennaio del ’76. In seguito, altre famiglie andarono ad abitare al 112 di Ocean Avenue senza riscontrare alcun fenomeno paranormale.
C’è ancora un piccolo avvenimento da ricordare: nel marzo del ’76, Ed e Lorraine Warren si recarono nella casa di Amityville, insieme a una troupe di giornalisti e fotografi, per svolgere una serie di analisi e investigazioni. Vennero scattate alcune foto, tra cui quella che potete vedere qui sotto.

my-amityville-horror-documentary-112-ocean-avenue-ghost-child-photographDaniel Lutz, in tanti anni, non ha mai voluto parlare in pubblico delle sue esperienze nella casa di Amityville. L’uomo che si siede davanti alla telecamera di Eric Walter è un individuo segnato da una vita molto complicata, non solo per aver sopportato sin da ragazzo di non essere nient’altro che “quello di Amityville”, ma anche per un rapporto estremamente conflittuale col patrigno, George Lutz, figura molto diversa dal padre di famiglia che abbiamo visto nel film del ’79 (e nel remake del 2005) e molto più simile al personaggio messo in scena da Damiano Damiani nel sequel, Amityville Possession, e interpretato da Burt Young.
George Lutz era un ex militare, e trattava i figli come dei subordinati. Lo dovevano chiamare Mr Lutz o “signore”. A più riprese, Daniel afferma che George era un violento, privo di alcuna capacità di fare il padre. Dice anche di aver desiderato di ucciderlo molte volte, di essere andato via di casa a 15 anni proprio per evitare di arrivare allo scontro fisico con lui, e di essere felice della sua morte, avvenuta nel 2006.
Tra le altre cose, Daniel parla di una strana (e mai verificata) passione di George per i libri di magia nera, ed è sicuro che il patrigno sia stato il vero e proprio catalizzatore degli eventi soprannaturali del dicembre 1975.
Sembra essere d’accordo anche Lorraine Warren che appare in una delle sequenze più weird del film, imbracciando crocifissi e brandendo immaginette di Padre Pio mentre chiede a regista e operatore (entrambi agnostici) di avere fede.

Insomma, il documentario è pieno di elementi quantomeno stranianti. L’abilità di Eric Walter sta, da un lato, nel non piegarsi a un’accettazione supina del paranormale che sarebbe ridicola, ma senza dare mai l’impressione di trattare con condiscendenza e superiorità una persona come Daniel Lutz, profondamente danneggiata da quella che lui crede essere stata un’esperienza di possessione demoniaca.
Perché, se l’ipotesi di una frode da parte dei coniugi Lutz è una possibilità più che concreta, diventa molto difficile accusare un bambino di undici anni di aver collaborato alla messa in scena.
Il Daniel Lutz che appare nel documentario sta dicendo la verità. E si dispera perché nessuno, se si esclude un pugno di persone tra cui la stessa Warren, è disposto più a credergli.
My Amityville Horror gioca con l’irrazionale mantenendo un piglio distaccato e concedendo a Lutz tutto lo spazio per raccontare la sua storia. Intervengono psicologi a spiegare come la suggestione, la paura del patrigno, l’atmosfera violenta respirata in famiglia abbiano contribuito a creare nella mente di Daniel da piccolo tutta una serie di immagini terribili che, col passare del tempo, si sono sedimentate nella sua coscienza, generando (anche lì) un impasto tra realtà e finzione filmica. Daniel ricorda alcuni eventi così come sono stati rappresentati nella pellicola del ’79. Per esempio, le mosche, o la benedizione del prete il primo giorno dopo il trasloco.
E poi, la telecamera ritorna su Lutz che ti racconta di come il suo patrigno fosse in grado di spostare gli oggetti senza toccarli, di come l’ultima notte trascorsa dai Lutz nella casa, lui e suo fratello si fossero ritrovati a lievitare nella loro camera, andando a sbattere uno contro l’altro, di come gli si sia chiusa una finestra sulle dita, rompendogli entrambe le mani e le fratture si siano ricomposte da sole pochi secondi dopo.
E le lacrime di Daniel, mentre prosegue il suo racconto, l’espressione di terrore che ha stampata negli occhi, la rabbia che esplode quando qualcuno insinua un qualsiasi tipo di dubbio confermano che sì, quell’uomo di mezza età crede davvero in ciò che dice. Ed è davvero spaventato.

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Cosa sia accaduto davvero in quella casa al 112 di Ocean Avenue non lo sapremo mai. Ma My Amityville Horror fa paura non perché spinga in qualche modo a credere ai fantasmi o ai demoni, ma perché ci mostra gli effetti a lungo termine dell’essere messi sotto i riflettori, del far parte di una storia sfruttata in tutti i modi possibili dai media per lucrare sulla sofferenza altrui.
E sì, è inutile negarlo, una parte di noi vuole credere a quello che racconta Lutz, forse perché è preferibile pensare che a fare così tanto male a una persona siano state delle entità soprannaturali piuttosto che una prosaica e umanissima forma di avidità, un gusto morboso di massa, e dei genitori che hanno cavalcato l’onda della commercializzazione della “più grande infestazione d’America”, assicurandosi lo sfruttamento economico e i diritti di gran parte dei prodotti scaturiti da quel caso, oramai vecchio di 35 anni.
Molto più rassicurante e innocuo il vomito di poltergeist che esce dalle pareti. Non credete?

15 commenti

  1. Girava voce che il famoso bambino nella foto non fosse uno dei DeFeo, ma il figlio di un membro della troupe che accompagnò i Warren nel sopralluogo qualche mese dopo gli eventi “spiritici”.
    Chissà.
    Certamente all’epoca fiutarono l’odore dei soldi. E alcuni di questi li hanno pure fatti.
    Romanticamente, sono molto affezionato all’idea che non tutto si possa spiegare con la scienza. 🙂

    1. Sì, da un punto di vista romantico, sarebbe una figata sapere che almeno la metà dei fenomeni di Amityville sono accaduti davvero. Però è anche assurdo come un poveraccio sia stato condizionato tutta la vita da una macchina macinasoldi che ancora non ha smesso di attrarre il pubblico pagante

      1. Giuseppe · ·

        Romanticamente o, quasi sinonimo, da grande scettico con una minuscola briciola di possibilismo non credulone, lo sarebbe anche sapere che ne sono accaduti almeno un decimo, se è per quello… tanto sarebbero comunque bastati, per mettere in moto la dannata (termine adatto, in questo caso) e – questa sì, assolutamente reale – macchina macinasoldi della quale Lutz avrebbe fatto molto volentieri a meno. 😦 Comunque questo documentario mi sembra parecchio interessante (tra l’altro, l’Amityville Possession di Damiani l’avevo trovato davvero un buon film)…

        1. Sì, è un ottimo horror. E mi pare inoltre (ma non vorrei sbagliarmi) che sia il solo film della saga dove la famiglia sia presentata disfunzionale e non da mulino bianco.
          Il documentario è molto bello. Peccato che non esistano ancora sottotitoli in italiano

  2. Mi ricordo di averlo visto quello girato da Damiani, il remake del 2005 e quello con Ryan Reynolds?
    Daniel Lutz porta dentro traumi infantili incancellabili ,uniti ha un’esposizione mediatica al tempo eccessiva e questo il vero orrore.
    Comunque nei contenitori pomeridiani vanno persone con fatti gravi(omicidi ect) a parlare la cosa che mi stranizza e lo loro disinvoltura alle telecamere,mi lascia senza parole.
    Comunque e cosi devono fare ascolti(=soldi).

    1. Sì, nel remake del 2005 c’è Reynolds che fa George Lutz e Melissa George che fa Kathy. Tra i vari remake dell’era Bay è tra i meno brutti.

  3. Io sinceramente credo che Daniel Lutz sia in buona fede. Si può credere o meno a quello che è successo dentro la casa al 112 di Ocean Avenue, ma lui indubbiamente ha vissuto troppe brutte esperienze sulla sua pelle.
    Non deve aver avuto una vita facile, proprio per niente.

    1. Ma anche io sono convinta che Daniel sia in buona fede, che creda veramente a ciò che racconta. È proprio questo che mi ha spaventato.

  4. Una perfetta dimostrazione di come spesso i veri Mostri sono i Media e l’ossessione del “Malvagio da sbattere in Prima Serata”.

    1. E, se l’ipotesi dei genitori che si inventano tutto per farci i soldi dovesse essere vera, sarebbe ancora più agghiacciante.

  5. Madonna, è un film che davvero non potrei mai guardare, preferisco rimanere nel rassicurante “vomito verde” finto.
    Perché sì, la parte razionale di me empatizzerebbe di sicuro col povero Daniel e maledirebbe i genitori e i Warren per l’eternità ma la parte irrazionale, che è sempre stata mooolto potente, passerebbe le notti insonni ad aspettare i poltergeist!

    1. Guarda, in alcuni momenti (e io sono una che non crede assolutamente in nulla per principio di vita) me la sono fatta letteralmente addosso. I racconti di Daniel sono agghiaccianti e, sentirlo parlare in quel modo, con quella profonda fede in ciò che gli è accaduto, è davvero spaventoso.
      Poi, finito il film, la razionalità prende di nuovo il sopravvento. Ma qualche difficoltà ad addormentarmi, la sera in cui l’ho visto, c’è stata.

  6. Lucia non so se posso chiederlo, ma tu hai trovato i sottotitoli in inglese? Perché io no, e senza faccio troppa fatica.

    1. Purtroppo no… L’ho visto senza sottotitoli. In compenso ci sono in spagnolo, ma non so quanto questa informazione possa esserti d’aiuto 😦

  7. Potrei provare con lo spagnolo…
    Grazie 🙂