The Missing vs The Captive

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Fra le varie domande che mi tormentano ormai da decenni, c’è anche: “quando Atom Egoyan farà di nuovo un bel film?” Non arrivo a pretendere che tormenti l’umanità intera, ma almeno un paio di appassionati di cinema sì, sempre che la memoria cortissima tipica dei tempi non abbia cancellato dagli archivi anche il nome del regista canadese. Potrebbe essere addirittura comprensibile. Tra alti (pochissimi) e bassi (una quantità imbarazzante), la sua carriera vera e propria sembra essersi fermata al 1999, quando ha sfornato il suo capolavoro, Il Viaggio di Felicia. Poi deve essere rimasto colpito anche lui dalla sindrome Argento, inspiegabile e falcidiante.

Me tapina, io ci ho sperato, perché Devil’s Knot non era così orrendo come lo si dipinge. Ho pensato che, forse, era il timido risveglio di quel regista che ci aveva regalato Il Dolce Domani.
E invece no. Niente da fare: The Captive, ultima fatica di Egoyan, non andrebbe neppure degnato di un post, se non fosse per la sua concomitanza con una miniserie inglese che tratta lo stesso argomento, con modalità simili e con identici artifici stilistici. L’unica differenza è che The Missing (questo il titolo della serie) è un prodotto validissimo, mentre The Captive può al massimo essere catalogato come thriller di pessimo gusto. 

Non c'è un cazzo da ridere, Atom

Non c’è un cazzo da ridere, Atom

Di solito non mi metto a fare paragoni tra cinema e televisione e non faccio parte della schiera di persone convinte della ormai raggiunta superiorità del piccolo sul grande schermo. Ciò non toglie che esistano delle serie televisive in grado di stracciare alcuni film. Sarà una questione di gusti personali, ma di solito queste serie così ben riuscite sono composte da pochi episodi, sono spesso auto conclusive e hanno una forte impronta creativa data da personalità ben precise poste al comando.
È il caso di The Missing che, seguendo la formula inaugurata da American Horror Story (non da True Detective, arrivato secondo), apre e chiude la sua storia in un’unica stagione, promettendone una seconda con lo stesso titolo, ma con altri personaggi e altre vicende.
Con True Detective, più che questa struttura, condivide la scelta di far scrivere tutte le otto puntate che compongono la prima stagione agli stessi sceneggiatori, e di farle dirigere tutte allo stesso regista, Tom Shankland, quello dell’ottimo The Children e dell’ancora più bello W Delta Z, che con The Missing condivide molto, sia per lo stile che per le tematiche affrontate.

Le trame di The Missing e quella di The Captive sono quasi identiche: in entrambe le opere
abbiamo la sparizione di un bambino (un maschio nella serie inglese, una femmina nel film canadese) al centro della scena. Seguiamo la vicenda dei genitori, la loro separazione dopo la tragedia, la ricerca del figlio perduto a distanza di anni (otto, sia nel film che nella serie), il venire a galla di nuovi indizi quando le speranze sembrano del tutto perdute, le indagini di agenti di polizia rimasti legati al caso e siamo obbligati a confrontarci con zone molto oscure dell’animo umano, quelle legate agli abusi sui minori. The Missing e The Captive sono usciti entrambi nel 2014: il primo è andato in onda tra ottobre e dicembre, il secondo è stato presentato al festival di Cannes, quindi è precedente di qualche mese. Una coincidenza di tempi impressionante.
Ma non è solo l’idea di fondo a essere molto simile. Sia Shankland che Egoyan mischiano i piani temporali, e ci raccontano la loro storia senza seguire un ordine cronologico, ma alternando passato e presente.
Egoyan non è affatto nuovo a questo tipo di narrazione, basta guardare Il Dolce Domani o Exotica che utilizzano la stessa scansione temporale. E, se in The Missing lo spettatore viene aiutato da alcune didascalie indicanti date e luoghi, in The Captive il regista non si prende neanche il disturbo di avvisare se ciò a cui assistiamo si stia svolgendo ieri o oggi.
Una scelta che apprezzo. Infatti, nei primi venti minuti, The Captive ti ipnotizza con il suo ritmo rarefatto. E ti disorienta con i continui salti, ottimamente orchestrati dal montaggio di Susan Shipton. Peccato che poi mandi tutto in vacca.

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È interessante notare come, molto spesso, la trama in sé sia del tutto ininfluente per la riuscita o meno di un’opera. E non parlo di sceneggiatura, attenzione, ma di canovaccio, di scheletro su cui poi si poggiano tutti gli altri elementi. Perché tutto dipende dal modo in cui uno spunto viene poi sviluppato, dalle scelte di messa in scena, da come gli autori gestiscono i loro personaggi e da come gli attori vengono diretti.
The Missing azzecca tutti questi fattori, The Captive riesce a sbagliarli quasi tutti.
Egoyan ha la possibilità di tornare in territori che gli sono congeniali. Pochi, meglio di lui, sono stati in grado di raccontare l’assenza. Come se non bastasse, eccolo alle prese con i panorami desolati e coperti di neve che nei pezzi della sua filmografia più importanti, erano protagonisti alla pari degli attori.
Ma se si tolgono confezione e regia un po’ più “autoriali” della media, The Captive diventa davvero uno sciocco thriller americano, di quelli destinati al mercato home video. Un film di serie B, dove il termine è da intendersi nel senso più deteriore possibile.

Il difetto principale di The Captive e che rende impietoso il confronto con The Missing, è la caratterizzazione dei personaggi, macchiette stereotipate nel film di Egoyan, figure tragiche munite di spessore nella miniserie di Shankland. Sul protagonista assoluto di The Missing, James Nesbitt, che interpreta il padre del bimbo scomparso, ha già detto tutto Hell in questo post che vi invito a leggere.
Io vorrei concentrarmi sui due personaggi femminili, le due madri, cui danno corpo Mirelle Enos nel film e Frances O’Connor nella serie. Tra le due c’è un abisso di recitazione, ma non perché la Enos non sia una brava attrice, tutt’altro. È che è obbligata a incarnare un personaggio privo di qualunque sfumatura. Non fa altro, per tutta la durata del film, che incolpare il marito per aver perso di vista cinque minuti la figlia, ed è definita solo da questa caratteristica. Al contrario, in The Missing, la O’Connor ha la fortuna di avere a che fare con un personaggio molto sfaccettato, che cresce, matura, si evolve e cambia nel corso della storia. Non si tratta solo di avere a disposizione ben otto ore di materiale in un caso e due ore scarse nell’altro, ma di infondere ai caratteri delle note di ambiguità e delle contraddizioni che, nel film di Egoyan, sono del tutto assenti.

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Egoyan ci tiene a distinguere buoni e cattivi, a dipingere tutti gli agenti coinvolti nella ricerca come figure sempre positive, ma piuttosto incompetenti, mentre il padre arriverà, quasi da solo, a fare luce sulla sparizione della bambina. Al contrario, Shankland (e con lui i due sceneggiatori) dona a chiunque passi, anche di sfuggita, sullo schermo, una profonda umanità. Persino i personaggi più luridi e negativi non sono dei mostri asettici, ma degli uomini, colpevoli di atti orribili, ma pur sempre uomini.
Il cattivo di Egoyan sembra l’arcinemico di un supereroe e non sfigurerebbe a Goham City. È una caricatura bella e buona. E, in quanto caricatura, inserita in un contesto che vorrebbe essere realistico, smonta tutto l’impianto del film.
The Captive non chiede nulla al pubblico. Sì, è appena meno lineare  e più cerebrale nella struttura, ma una volta dentro al meccanismo, tutto ciò che si può fare è sedersi e tifare per Ryan Reynolds, padre coraggioso e Rosario Dawson, indomita poliziotta, senza porsi domande di alcun tipo, altrimenti vengono fuori magagne e buchi di sceneggiatura a non finire.

The Missing è invece un lavoro che chiede continue attenzione e partecipazione a chi guarda. Non si subisce mai passivamente, è necessario porsi questioni dure e difficili da gestire, non è mai consolatorio e non concede alcuna scappatoia.
Andrebbero visti uno dietro l’altro, The Missing e The Captive, per rendersi conto di quanto sbagliasse King quando affermava: “è la storia, non colui che la racconta”.
È l’esatto opposto, invece: non è mai la storia, ma è sempre colui che la racconta.
Assistere a due prodotti così simili e nelle intenzioni e così incompatibili nei risultati dovrebbe essere un esercizio per chiunque voglia, prima o poi, raccontare qualcosa di suo. Ogni storia è piena di trappole. C’è chi le evita e chi ci cade dentro con tutte le scarpe.
Ed è enorme il mio rammarico nel constatare che Egoyan, un tempo eccezionale nel raccontare proprio vicende ad alto rischio, sia diventato un innocuo regista di thriller da prima serata.

11 commenti

  1. bradipo · ·

    the missing ce l’ho pronta da vedere e ora mi hai messo una scimmia assurda e se poi il regista è lo stesso del paurosissimo The Children è ancora meglio…e mi sono appuntato W Delta Z…

    1. W Delta Z è stata una sorpresa pazzesca. L’ho visto dopo The Children, anche se è uscito prima e mi ha davvero colpita. Una rivisitazione del serial killer movie molto sentita e originale.

  2. Giuseppe · ·

    Io non mi sono dimenticato di Egoyan ma, a quanto hai scritto, è lui purtroppo a persistere nel dimenticarsi di quello che – a suo tempo – ha fatto di buono (in caso contrario, probabilmente, oggi avrebbe preferito cimentarsi in una miniserie sfaccettata come The Missing piuttosto di invischiarsi in uno sciapo e stereotipato thriller. Poi, ovvio, il mio è il classico what if che non cambia nulla)… 😦
    P.S. James Nesbitt, tra l’altro, mi è piaciuto parecchio anche con la sua doppia prova di capace attore nel Jekyll di Steven Moffat

    1. Grande attore Nesbitt. Ma tutto il cast The Missing è a livelli impressionanti. Non c’è una cosa che sia fuori posto. Lo schema può apparire, all’inizio, piuttosto classico, ma poi ti sorprende a ogni episodio, proprio per la scrittura dei personaggi, per la coerenza narrativa che lega il tutto, per il montaggio che incastra alla grande i piani temporali.
      Da vedere, sul serio. Come molte serie inglesi, del resto.

  3. In sostanza, così a naso direi che la serie è meglio del Film

  4. Ho visto The Missing e devo dire che mi ha preso totalmente, una serie bellissima, dolorosissima, girata da dio. A sto punto The Captive lo salto.

    Ah, ho visto anche The Children: regia perfetta ma filmaccio che non ha nulla di credibile. Io i film così non posso guardarli, mi sale il sangue al cervello.

    1. Noooo! Perché trovi The Children poco credibile? Oddio, tutti i film coi bimbi killer, che si possono sopraffare in due secondi netti, sono poco credibili. Però c’è sempre il discorso su cosa faresti se tuo figlio ti attaccasse.
      Sì, gli mollo un ceffone e morta lì. Sospendere l’incredulità con certi film è difficile.
      Di Shankland è più bello W delta Z. Ma di gran lunga.

      1. Nono, a parte la poco credibile situazione, ho trovato assolutamente poco credibili i personaggi e la psicologia degli stessi ma anche le dinamiche stesse. Alla fine il film mi ha esasperato e non fosse stato per la grande regia mi sarei annoiato. Che poi la regia è l’unica cosa che salvo: altissimi livelli. Non stento a credere che W Delta Z.possa essere un bel film e lo trovassi in giro lo vedrei anche domani

  5. La bellezza di The Missing. Nelle serie TV i britannici in questo momento sono semplicemente di un altro pianeta. La puntata finale è struggente, una scena in particolare mi ha straziato. E io ho veramente un cuore di pietra.

    1. Le serie tv inglesi sono pazzesche, anche perché costano la metà di quelle americane.

  6. […] quello dei bambini scomparsi. La prima stagione autoconclusiva uscì nel 2014, leggete qui e anche qui per saperne di più. La seconda, uscita in questi giorni, parte da zero, con una storia nuova, ma […]