Inbred

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Regia – Alex Chandon (2011)

C’è una differenza sostanziale tra i cloni e i derivati di Non Aprite Quella Porta girati negli Stati Uniti e quelli realizzati invece in Inghilterra. Quando gli americani scelgono di intraprendere la strada della serietà, ci troviamo di fronte a roba di grande imbarazzo come l’infame remake di Marcus Nispel. Quando decidono di buttarla in farsa (che credo sia l’unica strada percorribile, oggi, per un cinema di questo tipo. A meno che tu non ti chiami Greg McLean e non abbia le palle che ti fumano) abbiamo i seguiti di Wrong Turn. Che uno va bene, due si reggono, arrivati al quinto la sensazione è quella di assistere a un filmato amatoriale allestito in fretta e furia durante una festa di liceali sbronzi. Si divertono solo loro e si rendono ridicoli agli occhi del mondo.
Gli inglesi si avvicinano a questa materia così classica da essere trita con un atteggiamento più scanzonato e leggero, nel senso che non calcano la mano sul versante “esposizione generosa e gratuita di grazie femminili”, utilizzano un umorismo meno demenziale (a volte anche raffinato, ma non è questo il caso specifico) e picchiano ancora più duro con atrocità e frattaglie. Di Inbred ha già parlato il mio amico Marco in questo post, dove spiega anche a cosa si riferisce il titolo del film. Io a recuperarlo ci ho messo un po’ e lo recensisco con un certo ritardo. A volte, una commedia splatter, sgangherata e un po’ folle è tutto ciò che ti serve per risollevarti una pessima giornata.
Il protagonisti del film sono dei ragazzi problematici (delinquentelli, piccoli spacciatori, piromani) che devono passare un fine settimana di riabilitazione accompagnati da due adulti. Vanno in un piccolo villaggio dello Yorkshire e hanno un alterco con gli abitanti del luogo.
Che sono, ovviamente, tutti pazzi e degenerati, deformi e orridi e li ammazzano uno a uno con grande creatività. Allestiscono addirittura uno spettacolino per il sollazzo dei villici, dove torturare smembrare i malcapitati.

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Lo schema di un film come Inbred lo conosciamo tutti: gruppetto di persone più o meno civilizzate che va scontrarsi con quelle sacche di resistenza alla civilizzazione nascoste in luoghi geograficamente limitrofi alla confortevole vita quotidiana cui siamo abituati, ma culturalmente distantissimi.
Il cinema americano, lo abbiamo detto, campa su questo da decenni. Ma anche quello inglese non scherza.  E i viaggi, che siano di piacere (Eden Lake), o lavorativi (Severance), vanno sempre a finire molto male.
Gli stessi abitanti di Thirsk, la location nello Yorkishire del Nord scelta da Chandon per girare il suo film, si erano ribellati alla presenza della troupe. Che immagine avrebbe dato un horror della piccola città?
Non sono sicura di come sia andata a finire. Pare che Chandon abbia rassicurato i residenti dicendogli che la sua sarebbe stata una commedia.
E in effetti Inbred non è definibile tanto come un horror, quanto come una commedia completamente fuori di testa, in cui si assiste a una morte violenta ogni due minuti con grandissimo dispendio di budella e sangue finto. Più un paio di effettacci in CGI che però non disturbano.
Ci si siede davanti allo schermo e si sa già di trovarsi di fronte a macelleria pura. Così esagerata da non essere, neanche per un secondo, fastidiosa.

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Però Chandon, che dimostra di essere piuttosto cresciuto dopo il vergognoso Cradle of Fear, aggiunge alla mattanza qualche tocco weird estratto di peso da Calvaire, si diverte a costruire personaggi un minimo più combattivi dei soliti stereotipi che vediamo in questo tipo di film. Non si fanno ammazzare facilmente e contrattaccano, come fa la tranquilla educatrice interpretata da Jo Hartley, in grado di decapitare a fucilate tre o quattro bifolchi.
Non dovrei dirvelo, ma se cercate del buon gusto, da queste parti non ne troverete. Dopo una partenza piuttosto lenta, ma utile a delineare un quadro dettagliato dell’ambientazione e a seminare un paio di indizi inquietanti, Inbred decolla con un climax di schifezze senza pudore o ritegno.
Si ride (sempre che il vostro concetto di divertimento sia simile al mio), si fa il tifo come allo stadio, si spegne il lettore e si va a dormire felici e soddisfatti.

inbred01E tuttavia, Inbred possiede una marcia in più. Non arriva allo stesso livello di satira sociale messo in scena da Smith nel già citato Severance, ma non sono queste le sue intenzioni. Ciò che contraddistingue un prodotto come Inbred dai suoi omologhi, soprattutto americani, è proprio la mezz’ora iniziale, quella senza sbudellamenti e senza gente costretta a ingoiare merda. Sembra che Chandon sia lì a perdere tempo, perché dopotutto esiste un minutaggio canonico da rispettare e, attorno ai fiotti di sangue, devi almeno fingere di imbastire uno straccio di trama.
Ma non è così, perché il simpatico mattacchione inglese utilizza tutto il tempo che gli serve a creare uno tra i setting più ben riusciti ed efficaci di sempre.
Sono piccole cose, come intravedere un gruppo di bambini che prende a bastonate un uomo incappucciato, un’immagine quasi subliminale che appare di sfuggita lungo la strada.
Dettagli di scenografia, come il cimitero dei treni, dove è ambientata la sequenza migliore di tutto il film.
O di recitazione, con tutta una serie di imbarazzi, silenzi, accondiscendenza travestita da buona educazione che i due adulti riservano agli abitanti del villaggio.
È per comunicare lo smarrimento derivato dall’avventurarsi in un territorio alieno (ma distante pochi chilometri da casa) che Chandon si prende tutto quel tempo, invece di partire a razzo col gore selvaggio che domina  la seconda parte del film.
E quando ci rendiamo conto di essere precipitati in un luogo dove la civiltà ha del tutto abdicato, ecco che quel grottesco teatrino degli orrori, gli assassini truccati come clown, le vittime obbligate a indossare parrucche femminili e a essere seviziate su una specie di pista circense, ci appaiono credibili e veritieri.
Basta spostarsi di poco e si entra in una zona dove non siamo affatto benvenuti. E da dove non si torna più indietro.
E, visto in questa ottica, Inbred fa anche ridere meno di quanto possa sembrare.

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19 commenti

  1. Bella recensione Lucy ,bel film divertente Severance dove c’è le bella l’attrice Laura Harris che era anche in Fafculty,di cui ti consiglio il bellissimo serial Dead Like Me,intanto mi sono rinfrescato con Strangers e i Guerrieri della notte di Hill di cui dovresti vedere i Guerrieri della palude.

    1. L’ho visto, l’ho visto…è uno dei miei film preferiti.
      😉

  2. Un film della madonna. Rientra esattamente nella mia lista dei “cazzoni doc”.

    1. Cazzone ma strambo. è per questo che mi è piaciuto tanto. Sa essere persino sorprendente.

  3. Splendida recensione.
    Ho visto di recente questo gioiellino proprio grazie alla tua segnalazione. Che dire? E’ stato un trip divertentissimo nel grottesco che mi ha fatto pensare ad un Little Britain in versione horror.
    Una cosa che apprezzo del cinema inglese rispetto a quello americano è la capacità di prendersi in giro fino in fondo. Là dove l’americano ad un certo punto non riesce a resistere all’autoassoluzione, l’inglese dà il colpo di grazia. E, secondo me, il finale di questo film si rende superiore proprio in questo. Ma, a pensarci bene, anche l’ambientazione, l’idea di massacrare allegramente l’idea bucolica che tutti hanno sulla verde campagna della Yorkshire.
    Mi sa che è arrivato il momento di riguardarsi Severance.
    Grazie Lucia!

    1. Sevrance è un gioiellino di satira, diretto da uno dei migliori registi di genere in circolazione. E mi dispiace tanto che Smith stia fermo da un po’ di tempo.
      Per quanto riguarda lo Yorkshire, non so se ti è mai capitato di vedere la trilogia televisiva Red Riding. Impressionante.
      Grazie a te per il commento 😉

  4. vista Red Riding! Ci ero arrivata perché guardo tutto ciò dove c’è l’ammoremio Sean Bean ed è stata un gran bella scoperta.

    1. E quindi avrai visto anche quella figata di Black Death!

  5. eccerto! Lo stalkero come posso dai tempi di Boromir, guardando tutto ciò che fa, anche le cagate, e soffrendo ogni volta che muore, povero.

  6. Sean Bean muore spesso nei film ,in Black Death c’è anche la bella Carice Van Houten

  7. Helldorado · ·

    Cradle of Fear!!

    1. che imbarazzo! 😀

      1. Helldorado · ·

        Ricordo l’articolo/recensione su MEtal Hammer dell’epoca… 😀

  8. A me non è piaciuto, non sono nemmeno riuscito a finire di vederlo. L’ho trovato molto carente nel definire i personaggi (in qualsiasi tipo di livello li si possa analizzare), soprattutto i bifolchi non hanno avuto, almeno per me, davvero niente di interessante, sono sempre i soliti bifolchi che prendono a randellate (va detto che qui sono iperbrutali, ma tant’è) e boh, non creano quel minimo senso di grottesco, è come se il film galleggiasse sempre tra serietà (però troppo gonfiata) e umorismo nero (che però non fa ridere). E non parliamo di sceneggiatura (vabbè dai) e regia (ritmo non pervenuto, scene inutilmente lunghe)… 😦

    1. Sì, io capisco la tua opinione sul film, perché dici cose vere. Tranne per le scene inutilmente lunghe, perché a me è parso che il film abbia un bel ritmo. Poi è cazzeggio continuo, ma a me per esempio è piaciuta moltissimo la prima scena nel pub, lunga sì, ma ben recitata e con una gestione dei personaggi interessante.

  9. Gli inglesi in questo tipo di produzioni sono fenomenali, solo loro riescono a prendersi in giro fino in fondo e nonostante tutto a far uscire gioiellini come questi.

    1. Sì, gli inglesi hanno sempre una marcia in più. Razza superiore…

  10. Giuseppe · ·

    In sintesi -impressione mia dalla tua rece- è un po’ come se Chandon facesse andare a braccetto Fulci (il gore e, nello specifico, il concetto – qui ulteriormente calcato- di brutale e primitiva enclave a due passi dalla civiltà di cui Tomas Milian e Florinda Bolkan sanno qualcosa 😉 ), Smith e i Monty Python sul tipo, giusto per fare qualche esempio, del loro sketch tv “Sam Peckinpah’s salad days” o del “trapianti di organi vivi” nel film Monty Python – Il senso della vita…

    1. Infatti c’è un rimando continuo ai Monty Python. Il tutto però virato in salsa ultragore e brutale.