Collateral

Regia – Michael Mann (2004)

Ci risiamo. Hell e io, a cercare di riscrivere insieme la storia del cinema. Ognuno a modo suo e ognuno attraverso le sue ossessioni e il suo modo di vedere il racconto per immagini. Si discute, questa volta, perché il film scelto non ci trova d’accordo. Normale dialettica tra chi ha opinioni differenti, mai degenerante in rissa. Recensione in forma di dialogo. Io non ho convinto lui, lui non ha convinto me. Eppure si è parlato sempre e comunque del Cinema Enorme di Michael Mann. La discussione è proficua. Sempre, se condotta con garbo e intelligenza. Noi ci proviamo. Vediamo che ne esce fuori. Questo mese ospito io, onorata e felice di avere questa special guest star d’eccezione.

Hell:

Sapete cosa si dice di certi film, che arrivano in ritardo. Molti, me compreso, quando hanno visto i minuti iniziali, l’arrivo di Vincent (Cruise) in città, in aeroporto, come De Niro arrivava in treno ( Heat), e l’hanno visto scontrarsi con quell’altro tipo, un duro, e domandarsi a vicenda se fosse tutto ok, molti dicevo non l’hanno riconosciuto, o non ci hanno badato, o l’hanno subito dimenticato: Jason Statham, che in molti pensano  interpretasse, più che un cameo, proprio the Transporter, quell’autista che l’ha reso famoso. Una sorta di crossover di lusso, più immaginato che reale, ma che, a distanza di tempo, fa pensare.

Mann, regista, è uno che se la prende comoda, quando vuole narrare una storia. Sempre di narrazione si tratta, regista o scrittore che sia. Ha tutto sotto controllo, e si può permettere di arruolare Statham per una decina di secondi. Al suo posto, l’avrebbe fatto chiunque altro, penso. Sceglie di narrare digitale, piuttosto che su pellicola. Ama le metropoli notturne, rischiarate da luci giallo-ambra. Le adoro anch’io. Si dice che la scelta di girare tutto in questo formato abbia garantito una maggiore luminosità alla notte losangelina, tanto da farla risultare poetica. Ebbene, Los Angeles (confine ultimo dell’umanità, come amo considerarla), non è mai completamente buia, centinaia di migliaia di edifici e arterie stradali a rischiararla. Mann le ha reso giustizia, evitando di ricorrere ai luoghi da cartolina, già splendidamente ritratti in Heat . Oceano di luci e colori. La notte losangelina, che è quella di Mann, è arancione.

Lucia:

Per me Collateral è un’ immersione. Il digitale ci mostra una Los Angeles che sembra osservata da sotto il pelo dell’ acqua. La patina leggermente deformante dell’ elettronica è una sorta di gelatina in cui galleggiano i personaggi annegati nella città notturna. Mann, nel 2004, era già un Grande Vecchio del cinema americano. Ma si mette in gioco, sperimentando nuove tecniche. E’ tra i primi a comprendere come presto la pellicola sarà destinata al pensionamento. Non strepita, non si rannicchia in un angolo in nostalgica attesa dell’ apocalisse del cinema che fu. Sfrutta i mezzi a disposizione al massimo delle loro possibilità e si avvale di due direttori della fotografia più giovani di lui, Paul Cameron  e Dion Beebe, dimostrando così che il digitale non è piatto, se lo si sa usare bene, ma profondo come l’ oceano.

Anche agile. Permette a Mann di attaccarsi ai  suoi protagonisti come  una sanguisuga. L’ interno del taxi di Max (Jamie Foxx), scandagliato in ogni angolo. Il taxi più pulito di Los Angeles che diventa, col trascorrere delle ore, sempre più sporco e malandato. Enorme visto dall’ interno, minuscolo se ripreso nel contesto cittadino. Il maestro dalla mano ferma che compie una metamorfosi stilistica e gioca a fare il vettore di forze in collisione tra loro, restando comunque Enorme.

Hell:

Una notte qualunque, anonima, in cui entrano in scena destini diversi, che si incrociano tra milioni di altri, tutti strettamente connessi: i-ching, tutto scorre, non bisogna interrompere una routine, lo zen e tutte quelle altre stronzate new age. E,  per mettere in scena il delirante e beffardo spettacolo del caso, sceglie Tom Cruise e Jaime Foxx. Killer e tassista ignaro. Poche ore a spasso per le highway e nei vicoli di tante nazioni, tante anime diverse, in una sola metropoli.

È un film che ha sofferto parecchio. Né Mann, né gli attori che l’hanno interpretato sono stati le prime scelte. Contraddizioni in termini: Los Angelse ospitava, nel 2004, diciassette milioni di persone. È Vincent  a dirlo, mentre si trova nel taxi, prendendo le misure, come il suo personaggio, scopriremo, è abituato a fare con tutti, dell’autista Max. Per contrappasso, o per paradosso, tra tantissima gente, s’è già deciso che in tre condivideranno le  stesse paure, esigenze, timori, persino sentimenti: i due, Vincent e Max, e Annie (Jada Pinkett Smith), avvocatessa. Non impossibile, ma improbabile, come amo dire io. Questa affinità di destini appare una forzatura, pur con tutta la maestria registica di Mann e la chiacchierata sui flussi del fato, le influenze reciproche, cosmiche, assolute. Che i nostri protagonisti non siano liberi nel loro agire, ma che, piuttosto, dal momento stesso in cui sono entrati in collisione l’un con l’altro ne sono stati vicendevolmente attratti e vincolati, è palese nell’episodio dell’ospedale, durante il quale non solo Vincent e Max, in visita alla madre di quest’ultimo, ma persino il poliziotto che indaga sui delitti che il primo si lascia dietro di sé, condividono lo stesso spazio fisico, ristretto, di un ascensore. Vincent e Fanning (Mark Ruffalo), il detective della LAPD, scambiano addirittura due parole. Potreste liquidarlo come teatro dell’assurdo, se volete. Sublimazione della casualità, si dice, alla base dell’esistenza stessa. Io dico che è davvero troppo.

Lucia:

Collisoni casuali. Regia come un binario forzato a cui legare i personaggi e lanciarli verso il loro destino già scritto, già deciso, a cui è impensabile sottrarsi. Forzature, sì, ma talmente palesi, talmente evidenti che appaiono volute, predeterminate anche quelle. Ci si incontra, senza riconoscersi, e si arriva impreparati allo scontro. Ruffalo e Cruise in ascensore , l’ uno futuro carnefice dell’ altro senza saperlo, ché l’ agente non è sulla lista di Vincent e diventa, appunto, un danno collaterale all’ interno della nottata lavorativa dell’ assassino a pagamento. Meccanismo di coincidenze che si basa tutto sul non sapere cosa sia l’ altro. Volti che sprofondano nell’ anonimato, fino a quando non li si identifica come nemici, o come vittime, o come ultime occasioni da cogliere prima di diventare definitivamente ciò che mai si è voluto essere, ciò che invece la vita ci ha portato a essere.

Il farneticare di Vincent sui flussi e i bizzarri movimenti del caso diventa allora un sussurrare di Mann all’ orecchio dello spettatore. Vincent, che programma ogni cosa nei minimi dettagli e dispensa insegnamenti di vita contrari al suo stesso metodo d’azione. Fumo negli occhi per anestetizzare chi ascolta, o semplicemente un parlarsi addosso per autoassolversi. Ma la sostanza delle cose non cambia: non siamo noi a decidere. Lo stesso Vincent non ha deciso chi deve morire, ma è soltanto un esecutore.  Non è un personaggio tormentato dai rimorsi. Lui ha fatto pace con il suo mestiere e lo affronta come chiunque di noi affronterebbe una giornata lavorativa. La morte come fenomeno atmosferico. Può darsi che domani piova. Può darsi che tra un’ ora tu sia morto.

Hell:

Vincent è un killer. Ignoriamo tutto, a riguardo, eccetto che gli piace il jazz e che, forse, suo padre lo maltrattava. Un Cruise cinetico, persino gradevole a vedersi, in questo ruolo inedito, a suo agio comunque nelle scene d’azione. Bastardo arrogante e disilluso. Bastardo non perché uccide, ma perché dà per scontato di detenere il controllo della situazione, qualunque essa sia, mettendo a frutto nozioni di psicologia spiccia. D’altronde, sembra suggerire Mann, la differenza tra noi tutti, esseri umani, non sta tanto nelle abilità, quanto nell’atteggiamento. Max si atteggia a killer spietato, e riesce convincente nel ruolo, quando si tratta di andare a recuperare i dati del lavoro del killer, che lui stesso aveva distrutto, da criminali messicani.

In questo gioco delle parti, la svolta la dà il carattere: che è la stessa ragione che permette a chiunque di emergere, di spiccare, di essere notati. Non a caso, la vita ha un senso finché la si può gestire. Puro  esistenzialismo che riecheggia delle letture di Sartre, nella rievocazione della storia del cadavere in metropolitana che, prima di essere notato, s’è fatto il giro della città. La morte oggettivizza, ci consegna alla mercè degli altri. Il punto è che anche questa conseguenza estrema, viene smorzata dall’effetto contrappasso. Vincent incarna lo stesso cadavere del quale ama parlare, finisce per essere niente.

Lucia:

Jazz. Il genere che più di tutti gli altri si presta a fregare chi ascolta. Musica che vive di improvvisazione controllata, in cui niente è veramente affidato al caso. Eppure l’ illusione che tutto sia fuori controllo, che tutto venga fuori lì per lì, è altissima. La padronanza tecnica necessaria per suonare del jazz è immensa, così come molto profonda la conoscenza della musica in tutte le sue parti. Tutto studiato, anche i momenti che sembrano di puro delirio. E persino la libertà che implica un termine come free jazz è illusoria. Infatti Vincent non improvvisa. Il musicista deve morire comunque, anche se fornisce la risposta esatta alla domanda su Miles Davis. False speranze date in pasto alle vittime. Ma Max all’ inizio ci crede e forse persino noi.

Il Killer non vuole contatti coi suoi mandanti, obbliga Max ad andare in avanscoperta, a recitare una parte, perché per lui è obbligatorio l’ anonimato. E allora forse è vero che il destino è carattere e che esiste, a volte, una via d’uscita. Le personalità dei due personaggi principali che si specchiano e si riconoscono somiglianti oltre ogni aspettativa. Uno fa il tassista come lavoro “temporaneo” da più di dieci anni, sulla pericolosa china del fallimento professionale ed esistenziale, a cui non resta che una cartolina per evadere ogni tanto. L’ altro non ha necessità di evasione, poiché si illude (e torna questo termine, come una sorta di ritornello ossessivo) di aver compreso la vita e le sue folli dinamiche. Non solo, pretende anche di insegnarlo  a un Max che alla fine lo apprende anche troppo bene.

Hell:

In questi sprazzi di alta simbologia e filosofia, alternate alla natura, non schiava, che si adatta (ecco che ritorna la teoria del flusso, del magma caotico che scorre), che raggiunge la vetta nella piccola sequenza dei lupi alla caccia del cibo nella foresta d’asfalto illuminata a giorno, s’è voluto innestare, forzosamente, un romance che non ha ragion d’essere, tra Max e Annie (Jada Pinkett Smith), l’avvocato/cliente del taxi, anche lei nelle mire di Vincent. Come prima, improbabile. Tanto sono improbabili, l’apprendistato di Max, il suo battesimo del fuoco e la sua scelta di rischiare tutto, vita, madre, lavoro, per un sentimento che non è ancora nato, non è niente.

 Motore dei destini è proprio quel Vincent, chiamato da una mail (dato che non vuole avere contatti coi suoi datori di lavoro, o con nessun altro in particolare; nessun vivente, almeno) a terminare tante vite: un lavoro come un altro. Vincent, distaccato, che però, nonostante sappia già chi sono le sue vittime, il jazzista (fa parte della sua lista) e Max compresi, non rinuncia a insegnar loro a vivere secondo la sua particolare natura, a non essere vittime, a essere in pace in ogni istante, perché, si sa, il successivo, può essere l’ultimo. L’istante, per chi non ha futuro, per chi vive nell’incertezza, è l’unica misura del reale. L’istante dei lupi, dell’incidente d’auto, delle pause di Max nell’isola tropicale, del fuoco delle pistole. Poi, più nulla.

Lucia:

 Il romance forzoso, può però anche essere letto in un’ altra maniera, e lungi da me cercare di dimostrarne la bontà in senso assoluto. Prima di tutto, siamo sicuri che di romance si tratti? Noi non abbiamo idea di come andrà a finire. Non sappiamo neanche se la ricca avvocatessa potrà mai accettare le attenzioni del tassista fallito. Forse il rischio che accetta di prendersi Max per salvare Annie è soltanto un disperato scatto di dignità, un tentativo di dimostrare di aver effettivamente appreso la lezione del killer. Il non essere vittima, il non scappare e salvare qualcuno dall’ odiosa concatenazione che ne ha decretato la morte. E si ritorna al concetto di istante come unico metro con cui misurare la vita. Quell’ istante in cui decidi di ribellarti al destino, tramite un  (sempre illusorio, per carità) estremo sussulto di carattere.

36 commenti

  1. Cristiano · ·

    WOW! che bello, gran pezzo di critica.
    1) ragionamento amaro: un sacco di gente che scrive di cinema su riviste e giornali dovrebbe venire qui, leggere e dire “non so un cazzo”

    2) nota scema: non avete detto che Cruise con i capelli bianchi è inguardabile

    3) Angolo del bullonaro: quanto sono belle le sparatorie…

    1. Faccio le veci della padrona di casa, finché posso, almeno, dato che è una giornata campale anche per me. 😀

      Addiittura, Cristiano! Grazie mille.
      E poi, ti dirò, Cruise in questa versione non mi dispiace affatto, si muove bene. 😀

    2. LordDunsany · ·

      1 – Al tempo Cristiano… Riconoscendo i giusti meriti a Lucia ed Hell, sulle riviste di cinema scrive pure un sacco di gente,anche giovane, che ne sa un botto! 😀

      1. Cristiano · ·

        Lord non metto in dubbio le tue affermazioni ma ti assicuro che, sopratutto sui quotidiani, ci sono un sacco parolai…

  2. Cristiano · ·

    allora dai una spolverata e spegni le luci prima di uscire 😀

    1. Eccomi di ritorno e ringrazio il buon Hell di aver fatto le mie veci e di aver pulito tutto e passato l’ aspirapolvere in mia casa 😀
      Grazie Cristiano, però loro leggono i manuali e noi no, quindi ce ne stiamo buonini nei nostri blog 😀

      1. Ah, ma sono qui in giro, eh… solo che oggi è una di quelle giornate…
        Comunque, spero di poter passare stasera… manca solo che faccia salire il passeggero sbagliato.

        😉

  3. Gran bel pezzo, anche se non ho visto il film è stato un piacere seguire il vostro dialogo/recensione. 🙂 Ovviamente su Facebook non eravate credibili, ma anche senza l’effetto sorpresa siete riusciti a tirar su un articolo con i controca**i. Complimenti a entrambi. 🙂

    Ciao,
    Gianluca

    1. Ma dubito volessimo sembrare credibili… 😀
      Grazie mille, quindi la rubrica può continuare… 😉

      1. Eh, io direi di farla continuare a oltranza: dalla Base dell’ ammmore alla rubrica dell’ ammmore.
        Quoriamoci tutti.
        Grazie Gianluca 😉

  4. Nell’olimpo dei registi ,quelli che per molti motivi diversi hanno segnato la mia formazione di spettatore e i miei gusti,sicuramente un posto di rilievo
    lo trova Mann.Perchè i suoi prodotti hanno sempre una certa malinconia,disincanto,che a me piace moltissimo.D’altronde il noir è il mio
    genere preferito,quindi che ben vengano film dove non solo si fa bang!Bang!Ma si cerchi anche di filosofeggiare,di costruire momenti di riflessione,si esalti la nullità dei personaggi di fronte a destini scritti.Questa cosa Mann in Collateral la fa benissimo.Se uno volesse girare un poliziesco,trhiller,anche un action ma non vuole scadere nel minimizzare e semplificare al massimo la potente macchina espressiva cinematografica,dovrebbe studiare questa pellicola.Perfetta,non so che dire di altro.No,scherzo!Lo so perchè essendo un logorroico grafomane occhialuto,qualche cosa ho sempre da aggiungere
    I personaggi non sono per niente imbalsamati e indefiniti,Vincent il killer ha pensieri persino per il ruanda,a suo modo ha ben chiara la situazione,Max è la mediocrità fatta persona:vuole andare su un’isola deserta al caldo.Sai che roba milioni e milioni hanno quel desiderio,ecco non riesce nemmeno ad avere un sogno suo che non sia quello massificato del sole,mare, e del guadagno fare soldi lavorando per milionari.Anche Vincent lavora per i milionari,ma ha una sua libertà nel prendere la vita di altri,è uno strumento che ha la
    breve illusione di essere anche giuria e boia,Max passa da servire
    gente comune a servire i riccastri.Servo è e servo rimane,infatti è nero.
    Però trova in una donna e nella illusione di un amore la forza per agire,mica è un eroe e forse nemmeno è veramente interessto alla donna,ma è la scusa che il destino usa per farlo agire in un certo modoNoi quando ci muoviamo per amore lo facciamo sapendo che sarà un successo oppure è la speranza ,una cosa che nemmeno riuciamo a spiegare che ci muove?Perchè frzatura?Credo anzi che sia uno dei pochisssimi film dove non ci sono eccessi di romanticsimo,ma una cruda verità ben descritta e filmata.Quotidianamente sfioriamo persone,qualche volta un nostro gesto si ripercuote su altri senza che vi sia l’intenzione.
    Eh,cazzo evviva i film di genere che cercano le riflessioni e le
    metafore,se fatte con la testa al suo posto,a fanculo il citazionismo spicciolo e la ripetizione parapara.Mann è un vero Autore che usa benissimo i linguaggi del cinema di genere.Collateral è un mio personale capolavoro,uno dei cinque che porterei con me per spiegare cosa era il cinema se dovesse essere cancellato dalla faccia della terra.Insieme a Boris Barnet,Van Trier,Scola,Carpenter,Bergman

  5. Ammazza Davide, che commentone della madonna!
    Però sempre quel Von Trier di mezzo… 😀

    1. ahahhah!Era solo per dire quali sono i miei registi preferiti ,ho saltato un nome:Peckinpah.
      Pensa che ste cose le scrivo in edicola,con i clienti che cercano i giornali,
      insomma vojia de lavorà sarateme addosso!

  6. Pur trovandomi d’accordo solo con la posizione, più che con le parole, di Lucia, ho apprezzato davvero tanto la forma scelta. Posizione e non parole perché in realtà anche quelle di Hell (piacere, Elio), seppur usate in un insieme negativo, inquadrano perfettamente l’anima pulsante del film. La critica, in parte, ma con la lucidità di uno che sa cosa ha visto e che non parla a cazzo di cane. Non è un caso che i due linguaggi riescano a fondersi in una maniera tale da rendere il pezzo così fluido e scorrevole, nel suo insieme come nei passaggi del testimone. Bravi, davvero bravi.

    E non è vero che Cruise con i cappeli bianchi è inguardabile. Al netto della mia eterosessualità, di Scientology e del suo essere deficiente, un colpetto glielo darei.

    1. Ciao, Elio. Posso dire che ho apprezzato davvero tanto il tuo intervento? Il nostro dubbio, mio e di Lucia, è sempre quello di non corrispondere, ma se tu l’hai trovato fluido, l’articolo, non può che farmi piacere. Non sai che spinta mi/ci hai dato.

      Grazie mille. 😉

      1. Figurati. E se il mio intervento contribuisce alla scrittura di altri pezzi simili, non può che farmi piacere.

        P.s. Commentare sul tuo blog, comunque, con un open id è veramente un problema 😉 Volevo sottoscrivere le tue parole su The Walking Dead, altra serie buttata alle ortiche.

        1. Commentare sul mio blog con un OpenID è impossibile, a causa di un bug. Le alternative sono la registrazione e Google+.

          😉

    2. Anche io al netto della mia omosessualità, un paio di colpetti a tom coi capelli bianchi e il vestito buono glieli darei volentieri, per la miseria.
      In realtà quando fa il cattivo figlio di puttana riesco persino a volergli bene.
      E comunque grazie KS! tu sì che sai come rinvigorire l’ autostima altrui! 😀

  7. Che gran pezzo di…recensione!:D. Bravissimi. Se sono sempre così, ben vengano queste collaborazioni fino alla fine dei tempi:D.

    1. E infatti andremo avanti a oltranza 😀 Grazie!

  8. Dico soltanto che mi avete fatto venire voglia di riguardarlo, magari ricordando i punti salienti della vs. recensione.

    1. Grazie Giuseppe! che meraviglia avere i complimenti in diretta dalla Base!

  9. Pezzo bellissimo, che dimostra un’incredibile padronanza di stile e materia da parte di entrambi. Io sono d’accordo con Lucia (la parte sul jazz poi è fantastica, mi sono alzato in piedi e ho applaudito, mi hai commosso) ma, se posso permettermi: Hell, io non conosco te e tu non conosci me, ma hai uno stile di scrittura incredibile.
    Per me Collateral è un film della (mia) vita soprattutto per l’estetica incredibilmente enfatizzata in totale simbiosi con la prova attoriale, da quel punto di vista è una delle vette di Mann assieme a Manhunter e Nemico Pubblico (non due tra i suoi migliori).

    1. Grazie, sapevo che l’ accenno al jazz ti avrebbe fatto piacere…
      Sono felice che Hell e io siamo riusciti a rendere giustizia (pur con punti di vista differenti) a un’ opera così complessa.
      Ma poi, rivedendolo mi sono accorta di quante centinaia e centinaia di spuni abbia preso Refn da questo film.

      1. Avete reso giustizia con stile… sì, Refn ha preso spunti ma secondo me, più di lui, il direttore della fotografia. Ah, non mi hai fatto piacere, ma di più 🙂

    2. Grazie del complimento, Frank. Ci conosceremo, spero. 😉

      1. Ah, spero anch’io. Quando vuoi…

  10. mandarino · ·

    Sono putrefatta dalla meraviglia per questa doppia recensione. 😀
    Bravi bravi bravi!!!!!

    1. Grazie Grazie Grazie! 😀
      mandare in putrefazione qualcuno è sempre cosa buona e giusta!

    2. Zombie outbreak? Lo sapevo io… ^^
      Mandarino, ma forse è perché sei un supercrminale dall’identità segreta. 😀

      thanks!

  11. LordDunsany · ·

    Buonissimo crossover anche stavolta, però perdonatemi, tante belle osservazioni per un film bruttino (per non dir peggio) come questo, paiono un pò sprecate! 🙂 Adoro Cruise, (lui e Bale miei preferiti), ma questo è il suo film peggiore.. Al prossimo commento (sperando sia qualcosina di orrorifico) congiunto! 😀

    1. Ciao, ma lo sai che ti do ragione? Al tempo inserii Collateral in una lista impietosa. Più che altro qui ho tentato di analizzare la regia, Mann è uno dei miei preferiti. La storia è troppo affidata alle coincidenze, però, ecco, è il lato estetico che, per una volta, mi ha colpito, soprattutto.

      😉

      1. Infatti, Lord, in questa analisi c’è sia l’ opinione di chi, come Hell, considera collateral un minore nella filmografia di Mann, sia quella di chi, come me e altri che hanno commentato, lo ritengono un film importantissimo. Abbiamo cercato di dare spazio a entrambe le voci. E’ fatto apposta in forma di dialogo, il crossover 😉
        Ma sei sicuro della mail? porca miseria non ce l’ho. solo che ogni tanto gmail sbarella e mi infila nello spam cose che non ci dovrebbero finire mai. vado a rincontrollare

        1. LordDunsany · ·

          Ho capito benisssimo Lucia, il senso generale del mio post era quello dell’evidenziare il fatto che questo film non meritava una così interessante unione d’intenti!!! Avrei preferito un’analisi su un film horror! 😀 Lucia, certo che sono sicuro!! Fai la gnorri (è quella dove ti parlo della TAG)? 😉 Te la rimando, vedi di rispondere da brava, bastan due righe!! 😀 Ci metto pure un suggerimento cinematografico (ammesso tu non l’abbia già visto) 😀

      2. LordDunsany · ·

        Ma sai che al contrario tuo invece ho trovato fosse proprio il lato estetico deludente? Io amo i film visivamente sfarzosi e magari kitsch, questo non lo è per nulla.. Spesso ho riflettuto sul fatto che molti registi pensino che quando non hai un’idea ben precisa sul come connotare il lato estetico di una pellicola (non horror, ovvio) sia preferibile girarla in notturna! Devo anche ammettere di non amare molto la location losangelina.. 😀

  12. e comunque per ribadire che codesta pellicola sia un capolavoro?Ma quanto è bellala canzone dei groove armada Hands of time?Quella che è in sottofondo mentre Max porta sul suo taxi la giovane avocatessa?
    Splendido brano soul,che poi fa da sottofondo a una scena che andrebbe studiata per come mette in scena la seduzione,in punta di piedi., senza cazzate di sorta.
    Eh,si è proprio un capolavoro questo film di Mann!